sabato 28 luglio 2007

Pezzi di portogallo


Il fado è, per eccellenza, la canzone di Lisbona. Prodotto di un sentimento intimo, di un'anima che non si può spiegare ma si può sentire, il fado è ancora oggi la caratteristica più nobile e genuina della cultura popolare portoghese;
Normalmente chi canta il fado è vestito con un abito scuro. Canta i propri amori, la sua città, le miserie della vita. Critica la società e i politici. L'etimologia della parola fado, viene dal latino "fatum", che significa destino. Il destino di un popolo che non si può cambiare.
Si dice che il fado sia la canzone portoghese per eccelenza, proprio perché rispecchia, in un certo modo, le credenze del popolo nel destino. Destino inteso come qualcosa che ci domina e da cui non possiamo fuggire: il dominio dell'anima, il primato del cuore sulla ragione, cose che ci portano alla disperazione.
"Non sono io che canto il fado, è il fado che canta in me". Così Amalia Rodrigues aveva spiegato al mondo il suo amore per quel genere triste e appassionato, in cui note arabe, africane e lusitane si mescolano dando vita a una melodia che incarna lo spirito di una nazione.

Se la saudade che pervadeva l'animo dei navigatori non è spiegabile a parole, sicuramente è fruibile in musica, grazie al fado, di cui Amália Rodrigues resta la più grande interprete, la cui popolarità ha valicato tutte le frontiere innalzando il fado a raffinata arte canora. La leggenda narra che per prima a cantarlo fu Maria Severa, prostitu ta dell'Alfama che agli inizi dell'800 diede sfogo così al suo struggente amore per il Conte di Vimioso, e nello stesso quartiere era nata anche Amália Rodrigues nel 1920: l'Alfama non è cambiato granché, da allora, e con i suoi saliscendi di vicoli stretti e tortuosi resta una delle attrazioni turistiche di Lisbona, dove ogni notte innumerevoli cantanti di fado si alternano negli angusti locali in penombra, in cui si va a cenare, certo, ma guai a chi rumoreggia durante una canzone, fosse anche solo con la forchetta nel piatto...

A saudade, a dor mais pura,
tão pura fica ao chorar,
que o seu pranto transfigura
a morte, que é noite escura,
numa noite de luar.
La saudade, il dolore più puro,
è così puro quando piange,
che il suo pianto trasfigura
la morte che è notte scura
in una notte di luna.

Un libro per cominciare a capire


Io credo che bisogna iniziare dall'informarci per renderci almeno un minimo conto di quello che succede là. Ogni volta che parlo con qualcuno che abita a Scampia rimango scioccato e ogni volta mi viene detto:"ma voi nn potete capire...bisogna vivere per capire"Be non posso certo andare a vivere a Napoli però per il momento mi sto informando vi consiglio di comprare il libro "Gomorra" di Roberto Saviano,anche per non mandare all'aria il suo sacrificio di una vita:dopo essersi infiltrato dentro la camorra napoletana ha pubblicato questo libro con tutte le più sconcertanti rivelazioni e adesso vive constantemente tenuto d'occhio dalla sua scorta.
Io lo sto leggendo, fatemi sapere cosa ne pensate...

venerdì 27 luglio 2007

Scampia - Secondigliano: ore 13,30....un giorno qualunque


Ero a Napoli, alla guida della mia macchina.; come non di rado, attraversavo il Corso Secondigliano, una lunga strada che da Capodichino si inoltra verso la periferia verso i comuni dell’area giuglianese. Pieno giorno, molto traffico, negozi ancora aperti, gente per strada e dappertutto...uno di quei giorni in cui si ascolta musica in macchina, aspettando che il traffico lasci qualche varco alla fretta.
All’improvviso un rumore al finestrino mi scuote....a qualche cm. dal mio viso vedo una pistola, vera, di quelle che sinora avevo visto agitare solo nei film....la pistola è fissa su di me, nonostante la mia macchina prosegua per qualche istante lentamente: la mano che la tiene ferma appartiene ad un uomo, poco più che trentenne, alla guida di un motorino e con un giovane dietro di sè che ho immaginato "apprendista".
Resto ferma, immobile, alla guida della mia macchina, mentre mi urlano di scendere; pochi istanti dopo, altri due uomini su un altro motorino mi spalancano lo sportello e mi trascinano con violenza a terra, fuori dalla macchina, mentre riesco a salvare la borsa dal sedile.
La sensazione che quella pistola avrebbe potuto funzionare, a distanza di alcuni giorni, è ancora viva in me, così come la certezza che Napoli sia ormai una città allo sbando, un far-west in cui mancano addirittura gli "sceriffi".
Pieno giorno, a volto scoperto, svariate decine di persone presenti, nessun filtro alla violenza gratuita.
I carabinieri sono arrivati dopo più di mezz’ora..."Signò" hanno risposto ai miei improperi "non ve la prendete con noi!! Siamo l’unica macchina in servizio su tutta Secondigliano e Scampia!!"
Secondigliano e Scampia non sono semplici quartieri....sono vere città di decine di migliaia di abitanti in cui la concentrazione di delinquenza e miseria è tale da ricordare tristemente terre malate lontane, come le periferie brasiliane o alcune aree della Colombia.
Lo Stato, in queste terre, è del tutto assente. Ho attraversato per la prima volta nella mia vita il quartiere di Scampia nella macchina dei carabinieri che mi accompagnavano a sporgere denuncia..."Possibile che per chilometri di strada non si veda l’insegna di un servizio pubblico, di un centro ricreativo, di una qualsiasi....." inveivo sbigottita al cospetto di tanto squallore "Signò!!!" mi hanno subito interrotta i tre carabinieri "Ma quale centro educativo!!! Qua ci vivono solo pregiudicati e tossici....se ci sta qualcuno "perbene" è una perla rara..."
"Questa è gente che entra e esce dalla galera" ha aggiunto prontamente il più giovane dei tre "e noi non solo siamo alla sbando, esposti come voi e non tutelati, ma abbiamo anche le mani legate..." " Legate da chi?" "E certo...se anche noi arrestiamo sul fatto un delinquente, dopo qualche giorno sta un’altra volta fuori....la magistratura serve solo a mettere in libertà quelli che noi arrestiamo...e a questo punto, mi dice lei che li arrestiamo a fare?"
I carabinieri sono impotenti e indifesi, la polizia è assente...le pistole sono nelle mani di quasi tutti i cittadini del quartiere, compresi i bambini, che si fanno da soli "giustizia".
Nessun segno, sui muri, di vita cittadina, di spettacoli o di iniziative che possano lasciar immaginare una qualche forma di civile comunanza.
La violenza è nel DNA della vita del quartiere...trasuda dalle urla che si rivolgono le persone anche solo per un saluto, comunicandosi in quel modo un comune malessere.
I carabinieri in sede cercano di darmi conforto...ma la rabbia che provavo non aveva ancora dato spazio a segni di cedimento.
La denuncia è laboriosa....finchè vengo cortesemente accompagnata alla fermata dell’’autobus.
Per la prima volta, intravedo sui muri imbrattati un manifesto, uno di quelli a me cari...a sfondo rosso, e con sigla di partito, recita "I bilanci partecipativi a Scampia: una iniziativa di quartiere". Avevo trattenuto le lacrime fino a quel momento ma quel piccolo manifesto, usurato dalla pioggia e dagli strappi, mi faceva d’improvviso sentire l’ingenuità e la tenerezza di una sfida già persa...e su quelle parole si poggiavano le mie lacrime e i miei pensieri "Signo’!" mi urla un uomo maturo "ma vi è morto qualcuno di questi?!?...ma lasciategghì (lasciateli andare)...fann’ sul’ chiacchiere!! (sono tutte chiacchiere)"
Scampìa non ha più parole da dare al racconto politico...e neanche a quello ricamato dalle trame dei progetti fasulli che lo Stato continua ad annunciare e, di fatto, a non fare....è il folklore macabro della cronaca di camorra a tenere la scena nel teatro di guerra di queste terre...e non c’è realtà più ostica alla legalità e al senso dello Stato di quella in cui sia culturalmente radicato un ostracismo che trova piena conferma nella reale latitanza delle istituzioni.
La tenerezza del sogno politico non raggiunge la miseria di Scampìa...la camorra è più vicina, è lì, a far da ombrello alla disperazione che non sa chiedere altra giustizia che quella della violenza che genera....la camorra c’è, a dar violenza alla violenza...lo Stato non c’è, ed è il suo pieno silenzio a far risuonare con terrore ancora dentro di me il rimbombo della pistola a qualche centimetro dal mio cranio.
Antonella*
Note: (*)dott .ssa Antonella Sapio (formatrice e docente di psicologia della pace) Professor / Dipartimento di Studi Sociali, Università di Firenze

martedì 24 luglio 2007

Parte il cinema a jesi


Ciao
inizierà a breve il cinema a jesi, vi prego di lasciare nei commenti, suggerimenti sui film che vorreste vedere.
Il cinema inizierà ad agosto e sarà gratuito, appena avrò maggiori informazioni le lacerò sul blog, intanto cercate di lasciarmi una vostra lista con qualche consiglio...
Grazie

martedì 17 luglio 2007

Campiglione si sta trasformando


Un anonimo frequentatore del sito ha mandato una sua visione del problema dello zuccherificio di Fermo, che sottopongo all'attenzione di tutti:

C’ERA UNA VOLTA

C’era una volta un centro produttivo …
Campiglione si sta trasformando; tutto è iniziato nel 2.000 con il varo del Piano Regolatore Comunale con i previsti 22.000 mc per interventi residenziali ed oltre 450.000 mc da destinare alla realizzazione di servizi socio-assistenziali, alberghieri, sportivi, ricreativi e commerciali e come affermato da un esponente politico di cui si è persa memoria; “tutto quant'altro possa contribuire a qualificare Campiglione come centro e punto di riferimento del territorio; a servizio di un quartiere che non deve essere solo l'appendice dello zuccherificio o un centro produttivo-industriale; come amministrazione comunale siamo quindi tenuti a fare, prima di tutto, gli interessi della collettività; ed è in quest'ottica che si inserisce l'insediamento del futuro polo”. Mai parole furono più premonitrici; il centro produttivo-industriale è sparito, le fabbriche storiche della zona hanno chiuso, le aziende calzaturiere stanno scomparendo; migliaia di posti di lavoro persi, comparto dell’agricoltura in ginocchio. Resta il dubbio di capire dove sono gli interessi della collettività.

Campiglione si è trasformata, è pronta ad essere il centro della nuova provincia.
Non ci sono più le puzze della conceria e non ci saranno più quelle dello zuccherificio, si risolverà il problema della viabilità estiva provocato dal continuo passaggio dei camion di bietole, andrà sempre più scomparendo il fastidioso via-vai dell’operosità calzaturiera, sarà un vero “centro di riferimento del territorio”, i nuovi “Parioli” fermani.

E non scherziamo con la storia della riconversione dello zuccherificio in una o addirittura due centrali elettriche alimentate a biomasse legnose e ad olio di girasole ubicate nell’area dello stabilimento; chi ci crede? A Campiglione? Non prendiamoci in giro; prima che la società prenda come scusa per non realizzarla l’ostilità dei residenti ed i tentennamenti dell’amministrazione comunale pressati dai politici della zona, si propongano altri siti più consoni all’investimento. (Ricordate la vicenda della Turbogas?)

Spariranno così i lavoratori (dell’industria, calzaturieri, agricoli, ecc.) e lasceranno il posto ad una nuova specie umana: i “deambulanti dei centri commerciali”; esseri umani che si trascinano da un negozio all’altro, guardando le vetrine senza acquistare niente perché non ci sono i soldi da spendere. Ed allora compariranno le offerte “compra adesso, pagherà tuo figlio tra vent’anni”, TAN 0% TAEG 1.000%.

Però le case e gli appartamenti acquisteranno valore, si potranno vendere o affittare ad un ottimo prezzo; ma a chi? E se l’Ospedale non ce lo fanno? La Sede e gli Uffici della Provincia non ce li fanno sicuramente, troppo decentrati. E se non ci fanno neanche la Motorizzazione Civile? La maggior parte delle Sedi Istituzionali sono già state individuate! I sindaci della valle dell’Aso rivendicano il loro pezzo di provincia! E se ci piazzano soltanto un paio di uffici periferici? I gestori degli esercizi commerciali già penalizzati farebbero salti di gioia!!

Gli unici soddisfatti saranno i membri del mitico “Comitato per la chiusura dello zuccherificio”, operativo da una quindicina d’anni (alcuni dei soci sono ex dipendenti), che finalmente potranno rilassarsi seduti nella panchina dell’”Oasi” , quella sopra la scala mobile.
Pronti però a rimettersi in assetto di combattimento contro una eventuale riconversione dell’ex Zuccherificio in una centrale elettrica nel loro “territorio”.

C’è una coincidenza curiosa: alla chiusura della Conceria Sacomar è seguita l’apertura del centro commerciale ”Girasole”; alla chiusura dello Zuccherificio Sadam seguirà l’apertura del nuovo centro commerciale “La porta del Sole”. Chiudono i posti di lavoro, la gente non ha più soldi, ma aumentano i posti dove spenderli.
Ed aumentano in maniera esponenziale anche nuovi sportelli di banche dove il nuovo business si basa sugli interessi derivati dai vari tipi di mutui e prestiti; entri per comperare un chilo di carne ed invece della solita macelleria trovi una nuova banca; le tirano su in una sola notte!

Si, ma vuoi mettere tutti i posti di lavoro creati dai centri commerciali?
Avete mai notato che le commesse non sono mai le stesse? Che periodicamente si leggono piccoli e graziosi foglietti (altrimenti sembra che le paghino poco) con la scritta ”cercasi commessa”? Chissà perché? Forse perché la maggior parte delle assunzioni sono a tempo determinato? E in quei centri commerciali aperti da qualche hanno dove a coprire locali vuoti compaiono dei teli con la scritta “prossima apertura” e rimangono lì per mesi e mesi?

Sono stati barattati posti di lavoro fissi, dove la gente era orgogliosa di produrre e avere una certezza per il futuro, la speranza di creare una famiglia, con dei posti precari fondati sulla illusoria certezza che la gente abbia sempre più soldi da spendere.

Campiglione “caput mundi”, un’ ”Oasi” di pace, dove vivere tranquilli per tutta la vita, tipo “Milano 2”, con i laghetti ed i cigni che nuotano; non ci sarebbe da meravigliarsi se fra qualche tempo verrà instaurata l’isola pedonale per tutto il quartiere, con circonvallazione alla conceria; ingresso vietato a tutti quelli che hanno intenzione di aprire una qualsiasi unità produttiva tipo fabbrica; solo servizi e shopping! Siamo nel futuro!!

lunedì 16 luglio 2007

Ne uccide più l'automobile che la guerra


Non si tratta di un'esagerazione con fini polemici, ma piuttosto una verità documentata dalle cifre, per lo meno nei paesi industrializzati.

L'O.M.S. stima in 1200000 (un milione duecentomila) morti l'anno il bilancio dei morti per incidenti stradali ogni anno nel mondo. Nell'ultimo secolo il totale dei morti da auto/moto dovrebbe essere dell'ordine dei 50 milioni di morti. Un bilancio da guerra mondiale. Però la guerra mondiale è considerata da [quasi] tutti come una terribile sciagura, l'automobile da [quasi] tutti come un grande segno di progresso.

Se andiamo nei dettagli scopriamo che nei soli USA ogni anno muoiono uccise dalle automobili cinquantamila persone, l'equivalente del numero di caduti americani in otto anni di guerra nel Vietnam. Nella guerra in Iraq gli americani hanno perduto circa 150 uomini nella prima fase (un mese e mezzo); nello stesso periodo sul territorio USA circa 12000 persone sono state uccise da auto e moto; dal 1 maggio 2003 si continua giorno per giorno il conteggio dei morti del dopoguerra, circa uno-due al giorno mentre negli USA muoiono uccisi da auto e moto un centinaio di persone al giorno, nella più assoluta indifferenza; e bastano quattro anni per uguagliare il numero di morti della II guerra mondiale (duecentomila). Nella storia americana il numero di morti da automobile è già oggi di gran lunga superiore a quello totale dei caduti di tutte le guerre combattute dagli USA dal 1776 a oggi.

In Europa lo squilibrio tra guerra e automobile è ancora lontano da questi livelli, un po' perchè in Europa ci sono state più guerre e più sanguinose che negli USA, un po' perché la motorizzazione di massa è arrivata un po' più in ritardo. Ma se si limita il conto agli ultimi cinquant'anni il risultato è lo stesso che per gli USA.

In Italia auto e motoveicoli uccidono circa 9000 persone all'anno (i morti sul colpo sono circa 3500 l'anno, quelli sul colpo o nella settimana successiva al sinistro sono circa 7000, quelli anche dopo la settimana appunto circa 9000). Come a dire che in cinquant'anni di dopoguerra dovremmo ormai essere vicini al mezzo milione di morti. (nella II guerra mondiale i morti furono circa 200000, nella Grande Guerra circa 600000).

Di fronte a questa carneficina l'atteggiamento dominante è quello dello struzzo; si fa finta di niente, si dimentica la cosa, salvo poi riscoprirla quasi si trattasse di una novità, quando si leggono i totali dei morti sulle strade nel week-end.

È paradossale che i mass-media scatenino periodiche e isteriche campagne contro la criminalità, i pedofili, le scarcerazioni facili ecc.ecc.,quando il numero di morti è quasi irrisorio se paragonato a quello causato da automobili e motori. E nessun mass-media si azzarda mai, non dico a fare una campagna, ma anche solo a profferire un solo monosillabo contro auto e moto. Siamo di fronte a una delle più incredibili situazioni di paranoia collettiva (e di mistificazione) nella storia dell'uomo.

Peggiore di tutti è l'atteggiamento di chi usa questa carneficina come pretesto per aumentare la dose; così capita che i fautori dell'asfalto ad oltranza promettano che costruendo nuove autostrade, tangenziali, passanti ... si ridurrà il numero di incidenti. Questo tipo di discorsi li ho letti a proposito del famigerato passante (o tunnel) autostradale che si vuol costruire a Mestre. Insomma per combattere un flagello causato dalle automobili si propone di incoraggiare e premiare ancora di più l'uso delle automobili!

Che si tratti di una menzogna spudorata lo dimostrano due semplici considerazioni:

  • il numero di morti sulle strade non è in proporzione minore negli USA, dove ci sono molte più strade e autostrade per abitante che in Italia e in Europa, se non altro a causa delle molto minore densità di popolazione. Anzi negli USA la proporzione dei morti è leggermente superiore che in Italia.
  • aumentare e allargare le strade incoraggia la velocità e la spericolatezza con le conseguenze facilmente prevedibili.

Dalle statistiche risulta che viaggiare in automobile è circa dieci volte più pericoloso che viaggiare in aereo e cento volte più che viaggiare in treno. Perchè questa sproporzione?

La risposta mi sembra abbastanza semplice: treni (ed aerei) sono guidati da professionisti, corrono su binario riservato con sistemi di controllo abbastanza sofisticati e collaudati, anche se ovviamente non infallibili; al limite un treno (e anche un aereo) potrebbe essere guidato automaticamente come un ascensore, e forse un giorno lo sarà. Viceversa le automobili sono guidate per lo più da dilettanti che spesso si lasciano prendere dalla smania della velocità e dall'esibizionismo, non corrono su un binario ed è quindi facile perderne il controllo, sono insomma simili a proiettili sparati ad alta velocità sulle strade.

La verità insomma è che la pericolosità è intrinseca nella natura stessa dell'automobile privata ...

domenica 15 luglio 2007

Ali ai piedi


Sembrano la versione futurista di uno stravagante paio di sci da erba. Sono, invece, una sorta di moderne ali ai piedi. Quelle che Oscar Pistorius ,calza quando le sostituisce alle protesi di due gambe, che da tempo sono andate per conto loro. Su quelle punte ricurve lui non ci scivola. Ci vola!

Novello Mercurio, in continuo andirivieni sulle piste di atletica di tutto il mondo, il suo messaggio è una testimonianza tangibile e costante di una formidabile forza di volontà. Accompagnata da una inesauribile voglia di riscatto, nell’instancabile ricerca di un’uguaglianza perduta, ma ancora per molti versi recuperabile.

Arriva dal Sudafrica e per lui “carbonio” non ha mai fatto rima con diamanti. Ha significato, piuttosto, libertà, rivincita, applicazione, speranza e, nell’interminabile sequenza di legami chimici tra gli atomi di un elemento così comune, il piacere di sentirsi spinto dal vento nella più difficile prova della sua vita. Regalare quella speranza ai tanti che, come lui, sono stati segnati dal destino.

Hermes Pistorius sventola questo messaggio col sorriso e la rabbia di un Achille, a cui gli dei non vollero concedere il dono dell’invulnerabilità. Anzi non lo dotarono affatto di entrambi i talloni e lo costrinsero, a soli undici mesi, a privarsi anche delle gambe dal ginocchio in giù.

Su quelle ali di carbonio, in una sera di luglio, è giunto fino all’Arena Olimpica di Roma. Per competere, per la prima volta, con i cosiddetti normodotati sui 400 metri piani. Un giro completo di pista. Non sotto gli occhi di Cesare, ma tra gli applausi del mondo intero. Arriva secondo, ma la sua vittoria Pistorius l’aveva agguantata già prima di partire. Il vero serto d’ulivo è stato il suo nome, confuso in una griglia di partecipanti, al Golden Gala 2007.

Non c'è più limite...


Non esiste limite all’immaginazione umana quando si tratta di cercare di evitare di finire in carcere per i crimini commessi. Pensate che in Romania, uno si è inventato una cosa assurda: questo 40enne romeno era finito davanti al tribunale perchè accusato di omicidio. E si era pure beccato 20 anni di galera. Allora lui si è appellato al giudice, affermando che non era colpa sua. Era tutta colpa di Dio.

Ecco perchè:

Dio è stato denunciato da questo uomo per abuso d’ufficio e perchè reponsabile di non averlo protetto dal male, lasciando che diventasse un omicida: l’uomo pretendeva che Dio fosse condannato per non aver adempito ai suoi doveri assunti con il Battesimo. Il tribunale non ha potuto far altro che accettare la denuncia dell’uomo. Peccato per un piccolo ostacolo: dove avrebbero dovuto inviare il mandato di comparizione? Dio non ha residenza. E così questa denuncia è caduta nel vuoto perchè “non è stato possibile trovare l’indirizzo del querelato”.

mercoledì 11 luglio 2007

Il SIGNOR MULLER


Dal blog di Beppe Grillo, :
Il Sig. Müller viene da Aretsried che sta in Baviera, quindi giù nel Sud. ll Sig. Müller è un imprenditore, e ciò che viene prodotto nelle sue fabbriche sicuramente l'avete già visto nei supermercati e in pubblicità. Il Sig. Müller infatti produce tante cose che sono fatte di latte. Insomma, veramente sono le mucche che fanno il latte, ma il Sig. Müller lo impacchetta bene e fa in modo che arrivi nel supermercato dove voi, dopo, lo potete comprare. Siccome il Sig. Müller è un imprenditore, ha pensato di intraprendere qualcosa e ha costruito una fabbrica. Più precisamente, la costruisce nella Sassonia, nell'Est. In fondo, a nessuno serve una nuova fabbrica di latte perchè ce ne sono già troppe che già producono troppi latticini. Ma il Sig. Müller l'ha costruita lo stesso. E siccome nella Sassonia la gente è povera e non trova lavoro, lo stato da soldi a chi costruisce nuove fabbriche. Infatti, di posti di lavoro, a differenza del latte, non ce ne sono mai abbastanza. La regione Sassonia e l'Unione Europea da Bruxelles gli hanno mandato un assegno di 70 milioni di Euro,sette zeri, quindi tantissimi soldi. Il Sig. Müller, dunque, ha costruito la sua nuova fabbrica ed ha assunto 158 persone. Evviva il Signor Müller! Quando la fabbrica del Sig. Müller poi ha prodotto tanti latticini, lui si è accorto che non riusciva a venderli tutti, poichè ci sono già troppe fabbriche di latticini: insomma, in fondo lo sapeva già prima, ed anche i signori della regione Sassonia e dell'Unione Europea già lo sapevano, anche perchè veramente non è un segreto e i soldi glieli hanno dati lo stesso, non i loro soldi, i vostri. Sembra strano, ma è così. Allora, cosa ha fatto il Sig. Müller? Su in Bassa Sassonia, abbastanza lontano nel nord, il Sig. Müller aveva un'altra fabbrica che stava lì da 85 anni. Siccome ora c'era la bella fabbrica nuova in Sassonia, lui non aveva più bisogno di quella vecchia in Bassa Sassonia, l'ha chiusa e 175 persone hanno perso il lavoro. Se siete stati attenti avrete già notato che Müller ha eliminato 17 posti di lavoro in più di quanti ne avesse creato. Per fare questo, ha PRESO 70 milioni di Euro. Se dividete per 17 i 70 milioni saprete che il Sig. Müller per ogni posto di lavoro eliminato ha preso più di 4 milioni di Euro. Dovete sapere che è il sig. Muller è anche un "bravo" risparmiatore e sicuramente conoscete i suoi contenitori del latte. Prima ci entravano 500 ml, cioè mezzo litro di latte. Da un pò di tempo, comunque, il Sig. Müller il suo latte lo vende in belle bottiglie, non più in confezioni di carta. Le bottiglie sono pratiche perchè si fanno richiudere e sono belline. Comunque, dentro ora ci sono soltanto 400 ml ma costano lo stesso. Così risparmia il Sig. Müller - e risparmiare è una virtù, lo sappiamo tutti. Se ora volete sapere perchè gente come Müller non viene appesa all'albero più vicino, allora vi devo dire che queste cose semplicemente non si fanno. La prossima volta, però, che siete al supermercato, lasciate semplicemente nello scaffale le cose del Sig. Müller e comprate altre marche. Sono ugualmente buone e spesso costano anche di meno, e FORSE (?) sono prodotte da un imprenditore che nel termine "responsabilità sociale" vede ancora un senso. Ora mi viene in mente che il Sig. Müller vuole anche risparmiare sulle tasse di successione e ha deciso di trasferire la sua residenza in Austria. Se anche voi siete dell'opinione che un comportamento così da sfruttatore non sia bello, mandate questa mail in giro per l''Europa per dire a tutti dove finiscono le loro tasse pagate faticosamente. Già, dimenticavo di dire a tutti coloro che ancora non lo sanno: Müller appoggia la NPD partito nazionaldemocratico della Germania, (cioè neonazista), in quanto a capo di questo, ci sono suoi cari amici. Un altro motivo per lasciare le sue cose negli scaffali!

Jesi sotto le stelle








lunedì 9 luglio 2007

Un lavoratre FIAT...


Si, è un'offesa.Un'offesa all'Italia, ai Torinesi.


A quei poveri dipendenti Fiat che per anni sono stati in cassa integrazione e buttatifuori dalla Fiat.


Un'offesa ad una Fabbrica che un giorno contava 55.000operai e che oggi è ferma a 15.000.Si, un'offesa.Perchè cità e riportaimmagini di un Italia che fu, cercando di trasmetterci la 500 come simbolodi una rinascita, come all'epoca dette lavoro a migliaia di Italiani.


Peccato, caro il mio Luca Cordero di Montezemolo, che la tua 500 lacostruiscono i Polacchi in Polonia e la Polonia, come storia, all'Italia neanche le stringhe gli lega !


Sarei curioso di chiedere a qualche operaioFiat cosa ne pensa a riguardo.


Vergogna.

Il "problema acqua" nel mondo


LA DISPONIBILITA' di risorse idriche e l possibilità di accedervi da parte di tutti sono tra i principali temi trattati al vertice di Johannesburg sullo sviluppo sostenibile. Ecco i numeri del 'problema acqua' nel mondo.

DOVE SI TROVA: L'acqua copre circa i 2/3 della superficie terrestre, ma la maggior parte di essa è troppo salata per essere utilizzata dall'uomo per fini alimentari o agricoli.Solo il 2,5% dell'acqua, in tutto il mondo, non è salata, ed i 2/3 di essa si trovano ai Poli e nei ghiacciai e sono, quindi, inutilizzabili.

QUANTA NE ABBIAMO E COME LA UTILIZZIAMO: Gli esseri umani hanno complessivamente a loro disposizione lo 0,08 per cento di tutta l'acqua della terra, ma nel prossimo ventennio il consumo di acqua non salata è destinato a crescere almeno del 40 per cento. Il 70 per cento dell'acqua di cui disponiamo viene utilizzato in agricoltura, ma il Consiglio mondiale delle acque sostiene che da qui al 2020 per sfamare il mondo sarà necessario avere almeno il 17 per cento in più dell'acqua attualmente disponibile, diversamente sarà il disastro.
CHI CE L'HA, CHI INVECE NO: Al momento, 968 milioni di persone sono prive di accesso a fonti di acqua pulita; secondo i dati del rapporto 2002 delle Nazioni Unite sullo sviluppo mondiale, il 33% della popolazione mondiale non ha accesso all'acqua potabile. L'Onu si propone di dimezzare entro il 2015 la percentuale della popolazione mondiale che non ha accesso all'acqua. I dati disponibili suggeriscono invece che tale quota è in aumento: se nel 1995 ben 436 milioni di persone in 29 paesi hanno avuto problemi di approvvigionamento idrico, entro il 2025 - stima la Banca Mondiale - questo problema riguarderà 48 paesi, per un totale di 1,4 miliardi di persone.

DOVE MANCA DI PIU': Nel 2035, sempre secondo la Banca Mondiale, 3 miliardi di persone vivranno in Paesi con problemi idrici. In base ai dati del programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente, l'area più colpita sarà l'Asia occidentale, che include la Penisola araba, con oltre il 90% della popolazione senz'acqua. Notevoli le differenze nell'accesso alle risorse idriche tra città e campagne nei Paesi in via di sviluppo. L'Unicef calcola che nell'Africa subsahariana solo il 39% della popolazione dispone di acqua potabile contro il 77% della popolazione urbana.NON SOLO FAME, MA ANCHE SALUTE: L'Organizzazione Mondiale della Sanità stima che il 19% delle morti per malattie infettive sia dovuto alla scarsità di acqua. nel decennio 1980-1990 una nuova teoria di reidratazione ha salvato tre milioni di bam,bini da morte certa per malattie infantili come la diarrea.

COSA SERVE PER RENDERLA DISPONIBILE A TUTTI, COSA SI FA IN CONCRETO: Secondo il programma delle Nazioni Unite per l'acqua (World Water Assessment Programme) ammonterebbero a 180 miliardi di dollari l'anno per trent'anni gli investimenti minimi per garantire la sicurezza idrica a livello mondiale. Attualmente gli investimenti in questo settore sono di 70-80 miliardi di dollari l'anno.

sabato 7 luglio 2007

Una goccia d’acqua



Oggi vorrei parlarvi di, una provincia afroamericana nel nord dell’Ecuador con 77% di popolazione in stato di povertá; 1 bambino su 3 denutrito crónico; il 38% dei bambini al di sopra dei 5 anni é económicamente attivo; un sistema educativo insufficiente tanto che solo il 18% della popolazione accede all’istruzione superiore. Il tutto da aggiungere ad un sistema economico depresso e un panorama político corrotto e constantemente sull’orlo del tracollo. Non so se fa piu male la situazione di per sè o la normalità con cui essa si vive. Perché, senza cercare giustificazioni alle nostre evidenti colpe, capisco che il così detto Primo Mondo si sia adagiato sugli allori, che altro non sono che le teste di milioni di persone. Ma ciò che fa ancor piu male è l’assoluta normalità con cui ad Esmeraldas ci si fa lustrare le scarpe da un bambino, si raccoglie un mendicante morto dopo due giorni, si contratta una prostituta incinta di vari mesi. Per non parlare della disarmante normalità con cui una classe dirigente di stampo simil feudale sta conducendo il paese verso Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti o il Plan Colombia.

Lo stato di negligenza e rassegnazione, locale e globale, che vive questo paese trova espressione solo nelle parole di Edoardo Galeano: l’America Latina un continente dalle vene aperte. Una emorragia costante che non si tenta neppure di tamponare, che ruba forze, energia, vita a questo continente. Perché c’è un’unica soluzione che i paesi dell’America Latina riescono ad adottare: in nome della mancanza di risorse, si svendono le risorse. Esmeraldas, chiamata provincia verde dell’Ecuador, ha dato il via libera alla nipponica EucoPacifico per la piantagione di 2000 ettari di eucalipto, albero totalmente estraneo al medioambiente locale, destinato a prosciugare il terreno in pochissimi anni. 70.000 barili di petrolio ogni anno vengono succhiati, raffinati e poi pompati dalla Petroecuador di Esmeraldas. L’oro nero sfiora la vita degli esmeraldeñi ma senza modificarla: solo il 30% di chi lavora nella raffineria é della cittá e ricopre le manzioni piú basse. Quello che sí rimane é l’inquinamento delle acque e dell’aria che la raffineria provoca. Ad Esmeraldas si produce cacao e si importa cioccolato, si produce zucchero e si importano caramelle, si produce caffé si importano polverine solubili


In questa provincia, come una goccia d’acqua (come diceva madre Teresa: siamo solo una goccia nell’oceano ma se non ci fossimo all’oceano mancherebba questa goccia) è nato un progetto: un dispensario medico nella comunità di Las Penas (provincia di Esmeraldas), una comunità afro la cui economìa di sussistenza è basata sulla pesca di gamberetti. Un dispensario medico di pronto intervento, considerando le distanze dalle strutture ospedaliere.


Luigi Rigamonti



venerdì 6 luglio 2007

Impegno indiscusso


STUDENTE: Nonostante molte persone vogliano sinceramente aiutare gli altri, il loro desiderio viene spesso frenato dalla stessa società. Ciò avviene perché quest’ultima ci ha sempre insegnato a non fidarci degli altri e a saper calcolare le loro mosse. In questo senso, aiutare una persona potrebbe voler dire non pensare a sé stessi e, dunque, risultare più vulnerabili. Penso che la diffidenza della gente risieda proprio in tale modo di pensare. Questo dibattito, però, doveva essere incentrato sul disagio giovanile, mentre adesso stiamo parlando delle persone meno fortunate di noi. A questo punto viene spontaneo chiedersi cosa sia e dove stia realmente il famigerato disagio giovanile.

DON CIOTTI: Si sta discutendo di impegno sociale - o anche del rifiuto di tale impegno - proprio per sfatare quell'immagine che vede nei giovani solo superficialità e disinteresse, il che non è assolutamente vero. Sebbene esistano alcuni ragazzi che vivono nel vuoto - in una condizione di non conoscenza e di passività – molti altri si impegnano sinceramente. A me pare che tu appartenga alla seconda schiera e che ti chieda come fare qualcosa per gli altri. Il problema sta proprio nel fatto che non tutti siamo chiamati a fare tutto. Ognuno ha il suo differente modo di agire e di pensare e vi possono essere delle persone poco adatte ad affrontare problemi come la droga o l’alcolismo, il più delle volte a causa della loro fragilità. Non di rado si può venire travolti da situazioni nelle quali siamo rimasti condizionati. Quando un genitore si preoccupa per i propri figli - sebbene possa esagerare– spesso avviene perché egli scorge in loro una qualche fragilità: se non si opera insieme agli altri si corre il rischio di essere sconvolti da certi fatti. Chi non si impegna su certi fronti non può essere automaticamente tacciato di asocialità o insensibilità: alcune persone possono essere più brave nell’accudire i malati, altri nell’animazione del quartiere, altri ancora nell’attività all’interno della propria polisportiva e via discorrendo. Sebbene occorra conoscere i problemi e agire in profondità, ognuno di noi può esprimersi a modo suo: ogni singolo contributo fa parte di un progetto molto più ampio. Bisogna non solo dare una mano a chi ne ha bisogno, ma anche "stanare" chi è nella passività e nella superficialità, al fine di valorizzare le sue passioni e portarlo a collaborare insieme agli altri. Ovviamente, gli adulti devono lasciare spazio ai giovani: quando cominciai ad occuparmi dei senza tetto, alcune persone mi chiusero la porta in faccia perché mi stimarono incapace di dare una mano ai ragazzi con cui stavo insieme. Bisogna prestare molta attenzione ai progetti portati avanti dai giovani, perché spesso non vengono fornite loro le condizioni per elaborare e mettere in atto le proprie idee: i progetti che ieri portai avanti in certo modo, oggi potrebbe essere organizzati differentemente

martedì 3 luglio 2007

La realtà di korogocho



Korogocho è una delle più grandi, tra le numerose baraccopoli di Nairobi, la capitale del Kenya.E' un'area di 1,5 kmq situata a pochi km dal centro della città.Al suo interno sopravvivono quasi 200.000 persone stipate in baracche di fango e lamiera, quasi sempre prive di energia elettrica, acqua e fognatura.Korogocho è situata, come molti altri insediamenti non ufficiali, su terreno di proprietà del governo ma la maggioranza delle persone che vi abitano deve pagare l'affitto della baracca.Gran parte delle persone che vivono a Korogocho sono sfollati vittime di precedenti sfratti in altre aree urbane di Nairobi e non solo; molti provengono da altre baraccopoli come Dandora, Kibera, Mathare e Pumwani.I redenti non hanno alcun titolo sulla terra dove vivono, hanno soltanto un permesso di occupazione temporanea assegnato dal responsabile del governo per il quartiere.Le baracche sono attaccate le une alle altre, divise soltanto da viottoli angusti che sono, allo stesso tempo, fogna e scolo. Le strade sono impraticabili durante le piogge o estremamente polverose negli altri periodi dell'anno. L'immondizia viene accumulata a lato delle strade dove spesso viene direttamente bruciata.La mancanza di acqua potabile rimane uno dei problemi più gravi di Korogocho, unitamente alla mancanza di infrastrutture, opportunità di lavoro, programmi d'istruzione, elettricità e appropriate misure igieniche.Adiacente alla baraccopoli si trova la collina del mukuru la grande discarica di Nairobi che costituisce una risorsa di sopravvivenza per i molti adulti e bambini che rovistando trovano di che sfamarsi e di che sopravvivere.Chi riesce a sopravvivere deve fare i conti con il problema dell'AIDS e della mancanza di cure mediche adeguate.È una tragedia immensa quella dell’aids in Africa. La conferenza di Durban (Sudafrica), tenutasi agli inizi di luglio, ne ha rivelato tutta la drammaticità. “L’epidemia dell’aids è la peggior catastrofe sociale dopo lo schiavismo – ha affermato la conferenza – è la più seria malattia infettiva di tutta la storia umana”. E il continente più minacciato è l’Africa. Dei 34 milioni di malati di aids, 24 milioni sono in Africa. In Kenya ogni giorno muoiono 500 persone di aids. Il Kenya è al 5° posto nella classifica mondiale. Le conseguenze sono devastanti. In Uganda i morti di aids hanno già lasciato un milione e mezzo di orfani. E tutto questo avviene in un continente dove almeno 300 milioni di persone sopravvivono con meno di 1 un dollaro al giorno! I poveri non possono permettersi il lusso delle medicine anti – aids che i ricchi usano! È questa l’ingiustizia profonda (che fa un male boia!) che si sperimenta a Korogocho. Solo i ricchi possono sopravvivere con l’aids, i poveri sono condannati a morire. È stato questo il lavoro splendido di padre Arcadio Sicher, francescano, che per due anni ha assistito i nostri malati. È stato un dono grande per noi e per la gente.