venerdì 20 giugno 2008

Informare alla legalità



Riporto qui il discorso fatto in occasione dell'incontro con Marco Travaglio:

Questo è il 5 appuntamento delle vie della legalità e iniziamo a tirare le somme di questo percorso fatto insieme.

Il tutto è partito a dicembre con le conversazioni sulla giustizia con il magistrato Gherardo Colombo, poi l’intervento del sostituto procuratore di Torino Bruno Tinti che ha presentato il suo libro Toghe rotte, quindi l’incontro con il costituzionalista Michele Ainis e più recentemente lo spettacolo di Daniele Biacchessi e la gang che ci hanno raccontato il loro paese della vergogna.

Abbiamo preso a cuore il tema della legalità, poiché riteniamo che tale questione si intrecci con le maggiori problematiche sociali- economico- politiche del nostro paese e perché, abbiamo riscontrato anche nel quotidiano un’indifferenza che talvolta sfocia in un disprezzo rispetto alle regole fino a confondersi con una grave carenza di senso civico.

Dopo magistrati, professori, attori e musicisti abbiamo ritenuto inserire un giornalista e la scelta non casuale è ricaduta su Marco Travaglio che da anni si impegna per informare alle legalità per l’appunto.

Egli rappresenta per noi un simbolo di quel giornalismo che fonda le sue radici su Enzo Biagi e Indro Montanelli e trova tutt’oggi espressione in persone come Saviano, Abbate, Rosaria Capacchione, Milena Gabanelli e tanti altri che si impegnano tutti i giorni per garantirci informazione.

IL compito di un giornalista libero è raccontare i "fatti", cioè l’unica "verità", che è ciò che è verificato e verificabile per mezzo di documenti la cui esistenza non è possibile negare né ignorare; non è compito del giornalista, tanto meno del giornalista libero, seguire le opinioni, o l'ideologia, più gradite a questo o a quel gruppo politico, economico, finanziario, né tanto meno fare congetture o formulare ipotesi non suffragate dalla documentazione a disposizione.

Nel 1 incontro Gherardo Colombo ha sottolineato l’importanza del potere mediatico oltre a quello legislativo giudiziario ed esecutivo, come il 4° potere. E proprio perché l’informazione può essere elevata e rango di potere deve essere ben distinta e soprattutto indipendente dagli altri 3 poteri.

Non avendo un rapporto diretto con le istituzioni per noi cittadini, un informazione corretta e imparziale è l’unico modo per controllare e valutare chi ha ricevuto il nostro consenso.

Purtroppo sappiamo tutti che ad oggi le cose non stanno così. I fatti di questi ultimi giorni lo confermano. L’informazione è poco soventemente lasciata libera.

Ma questa mancata distinzione non deve essere per noi una scusante nell’ignorare o ancora peggio nel non applicare la legge al contrario Le vie della legalità devono essere percorse con coerenza non solo da coloro che ci governano e che ci rappresentano nelle istituzioni ma anche quotidianamente da noi che, in qualità di cittadini, abbiamo il dovere e la responsabilità civica e morale di tracciare delle impronte significative su questa via.

Coerenza e quotidianità queste sono le due parole che vorrei sottolineare.

Questo incontro vuole essere un forte stimolo che spero tutti noi avremo modo di coltivare e di portaci appresso non solo in questo momento specifico di dibattito e di riflessione ma anche se costa fatica coerentemente nelle vicende della nostro quotidiano.

Vorrei chiudere citando le parole di don ciotti:

La legalità, il rispetto delle regole che valgono per tutti, è proprio la saldatura tra la responsabilità e la giustizia, tra la tua responsabilità, tra il tuo fare, tra i tuoi doveri, tra il tuo metterti in gioco, la legalità incomincia dalla tua responsabilità, io dalla mia evidentemente.

E' questa saldatura con la giustizia e noi chiediamo allo Stato, alle istituzioni, alle amministrazioni di fare la loro parte.

Ma vi prego non chiediamo allo Stato e alle istituzioni di fare la loro parte se noi come cittadini incominciamo a non fare la nostra parte, perché è troppo facile!
Dobbiamo sporcarci noi queste mani che cominciano dai nostri stili di vita, dai nostri comportamenti e guardate che questa è una parte importante.”

martedì 17 giugno 2008

Gli insabbiati

di redazione
Luciano Mirone è un giornalista d'inchiesta, della diaspora dei "Siciliani" di Pippo Fava. Ha appena aggiornato e ripubblicato con l'Editore Castelvecchi un suo libro straordinario: "Gli insabbiati- Storie di giornalisti uccisi dalla mafia e sepolti dall'indiferenza". Mirone ha svolto un'inchiesta approfondita sulle storie sepolte e trascurate degli otto cronisti uccisi in Sicilia da mafia e terrorismo e le racconta racconta con bello stile e passione umana. Il libro dice cose che molti non sanno, ci richiama al dovere della memoria, mostra cosa si può fare in concreto, e spesso non si fa, per coltivare il ricordo di chi - nel nostro Paese e non in lontane zone di guerra - per dare notizie scomode, sgradite, si è giocato la vita, si è scontrato col minotauro della censura che purtroppo tuttora scorazza minaccioso nel labirinto dell'informazione.

Proponiamo l'introduzione vibrante di sdegno civile di Rita Borsellino.


Prefazione di Rita Borsellino

Sono felice che “Gli Insabbiati” venga ristampato. E che sia ristampato oggi, a 100 anni dalla nascita della Federazione nazionale della stampa ed in un momento tanto delicato per l’informazione siciliana. Delicato per due motivi: non solo perché nel nuovo processo di ribellione sociale alla mafia e al suo controllo che è in corso in Sicilia, l’informazione è chiamata ad avere un ruolo importante; ma anche perché negli ultimi anni e ancora di più negli ultimi mesi, le intimidazioni a giornalisti impegnati sul fronte della denuncia, sono tornate a farsi sentire con insistenza anche in quei casi in cui il giornalista si è limitato a pubblicare atti processuali, dunque a svelare qualcosa che era già stato svelato anche se solo dentro le aule del tribunale. Cosa significa tutto questo? Significa che la parola e l’informazione restano una delle armi più temute dalla criminalità. Più temute persino del sistema della Giustizia, le cui falle la mafia ha imparato a conoscere e sfruttare a pieno. E significa anche che senza un’informazione libera e attenta è difficile costruire, ottenere, avere una coscienza sociale altrettanto libera e attenta.

Raccogliere le storie di 8 cronisti siciliani, metterle in sequenza, una dietro l’altra seguendo un percorso ideale nel tempo e nello spazio di quest’isola, serve a trovare un filo conduttore e a sottolineare con forza, dirompente, la potenza di uno strumento come la stampa e l’importanza della professione del giornalista che ha il compito di mediare, filtrare, leggere ciò che accade. Ed il dovere di farlo bene, cercando la verità e non accontentandosi di quella che gli viene servita.

Ma non è solo questo il merito de Gli Insabbiati, perché ripercorrendo la vita di Mauro De Mauro, Giuseppe Fava, Mario Francese, Mauro Rostagno, Cosimo Cristina, Peppino Impastato, Giovanni Spampinato e Beppe Alfano, Mirone ripercorre la storia di quest’isola e sottopone al lettore un interrogativo inquietante, lo stesso che mi insegue e a cui cerco risposta da anni: cosa si nasconde dietro le morti eccellenti siciliane? E perché in molti di questi casi non si riesce mai ad individuare i mandanti? Nelle pagine di questo libro non c’è solo cronaca e neppure solo storia c’è la ricerca appassionata della verità. C’è la voglia di spalare via, lontano, la sabbia dell’indifferenza che per troppo tempo ha coperto queste morti. La ricerca di Mirone abbraccia 30 anni di Sicilia compresi gli anni della Guerra fredda in cui, dice bene l’autore, “l’isola diventa terra di intrighi sotterranei e di accordi perversi fra Stato e Antistato su cui non si è ancora scritta tutta la verità”. Un’indagine la sua, che parte dagli anni ’60 quando viene ucciso Cosimo Cristina e la sua morte viene “travestita” da suicidio e arriva al ‘93, l’anno dell’uccisione del cronista di Barcellona P. G., Beppe Alfano.

Ma per me rileggere questo libro a distanza di tanti anni ha anche un significato in più. E’ ritrovare le ragioni di una scelta di impegno e ripercorrere tanti momenti della mia vita. Rileggere le parole di Giulio Francese quando racconta del padre e della sua sensazione di essere in pericolo, di avere ormai poco tempo, è tornare indietro al 92 quando Paolo mi diceva, ci diceva “devo fare presto” ed usava espressioni come “quando mi uccideranno..”.

Rileggere alcuni racconti di Felicia Impastato che oggi non c’è più e che con il suo amore di madre è riuscita a fare aprire un processo sull’uccisione di Peppino, significa ritrovare il sorriso forte e la passione di una donna straordinaria con cui tante volte ho condiviso sensazioni e speranze.

E così è per Claudio Fava che di Giuseppe ha raccolto l’eredità e la capacità di comunicare. C’è in questo libro oltre alla vita di questi straordinari cronisti, la Sicilia che non si vuole rassegnare. La Sicilia che in questi anni, dalle macerie degli omicidi eccellenti e delle stragi, è nata e ha costruito speranza. C’è lo spirito delle testate giornalistiche che hanno fatto la storia dell’informazione palermitana, come l’Ora. E c’è Luciano Mirone, cronista siciliano innamorato della sua terra e della sua professione che, se svolta bene, riesce a costruire il cambiamento. E non sulla sabbia.

lunedì 16 giugno 2008

Informare alla legalità - incontro a Jesi con Marco Travaglio



Continua L'appuntamento con "le vie della legalità"
"INFORMARE ALLA LEGALITA'"
incontro con MARCO TRAVAGLIO
presenta Valentina Conti
modera Matteo Secchi


L'appuntamento è per giovedì 19 giugno in Piazza della Repubblica alle ore 21.15

"Le vittime della censura non sono soltanto i personaggi imbavagliati per evitare che parlino.

Sono anche, e soprattutto, milioni di cittadini che non possono più sentire la loro voce per evitare che sappiano"

Marco Travaglio

Marco Travaglio è nato a Torino nel 1964. Conseguita la maturità classica al Liceo Salesiano Valsalice di Torino si è laureato prima in Lettere con indirizzo moderno e settore storico, e poi in Storia contemporanea presso l'Università degli studi di Torino.

Ha cominciato la propria attività come giornalista free lance in piccole testate di area cattolica, come "Il nostro tempo". Con lui c'era anche Mario Giordano:
Collabora a Wikiquote « Me lo ricordo. Arrivò tutto bello grassottello da Canelli con le guanciotte bianche e rosa. Era bravo. »


Lì conobbe Giovanni Arpino che, nell'ottobre del 1987, lo presentò a Indro Montanelli il quale, alla vigilia di Pasqua del 1988, lo chiamò a collaborare al Giornale:
Collabora a Wikiquote « Gratis, naturalmente. Anzi dovrai versarmi qualcosa tu per l'onore che ti faccio »


Ricorda Travaglio:
Collabora a Wikiquote « Ho fatto l'abusivo al Giornale come vice-corrispondente da Torino dall'87 al '92. Il corrispondente era Beppe Fossati, bravo e simpatico, ma con poca voglia di lavorare. A volte scrivevo pure i suoi articoli e lui mi dava cinquantamila lire al pezzo. »


Quando, nel 1994 Montanelli lasciò il quotidiano che aveva fondato venti anni prima, lo seguì, con altri cinquanta redattori, nella breve esperienza de La Voce.

La sua principale area di interesse è la cronaca giudiziaria, dalle questioni legate all'antimafia, ai fenomeni di corruzione, a partire dalla cosiddetta inchiesta Mani pulite, sviluppata sotto forma di indagini e raccolte storico-giornalistiche. Più di una volta i suoi articoli hanno suscitato le ire dei politici, spesso senza distinzione di schieramenti. Tra i suoi "nemici giurati" c'è Massimo D'Alema, che non gli perdona le accuse alla"Sinistra degli affari, entrata in parlamento con le pezze al culo per uscirne milionaria", tanto da etichettarlo come "spazzatura" in una trasmissione televisiva. Durante la trasmissione "Otto e mezzo" di Giuliano Ferrara, l'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga ha detto a proposito di Marco Travaglio: "Travaglio ha tutta la prepotenza e l'arroganza del fascista". Fausto Bertinotti ha detto che Travaglio gli fa venire l'orticaria, mentre Berlusconi, in una puntata di "Porta a Porta" ha detto che "Travaglio è un animale a se stante". Ma le critiche di Marco Travaglio spesso si rivolgono anche ai suoi colleghi: ha definito "Porta a Porta" un'arma di distrazione di massa e "Ballarò" un programma a sovranità limitata. Mentre di Gad Lerner ha detto che "Gad ha tanti pregi ma non il coraggio".

Prima del 2001 ha pubblicato sul settimanale il Borghese, in versione integrale e a puntate, le intercettazioni telefoniche fatte dalla polizia al movimento Lotta Continua (inclusi Gad Lerner, Giuliano Ferrara, Andrea Marcenaro e Luigi Manconi) il giorno seguente l'arresto di Adriano Sofri per l'accusa dell'Omicidio Calabresi. Secondo Dagospia, "nei nastri registrati dall'autorità giudiziaria se ne sentono di tutti i dolori e colori. Tale iniziativa ha causato insofferenza nei confronti del giornalista da parte di numerosi ex movimentisti di allora, ivi incluso Flores d'Arcais.[1]

Il 14 marzo 2001 durante un'intervista nella trasmissione Satyricon, ideata e condotta da Daniele Luttazzi, presenta il suo libro L'odore dei soldi, due mesi prima delle elezioni, successivamente lo showman che lo aveva ospitato viene allontanato dalle reti televisive. L'intervista scatenò dieci citazioni a giudizio intentate nei confronti del giornalista, tutte quelle arrivate a giudizio risoltesi con l'assoluzione per l'imputato e la condanna dei querelanti al pagamento delle spese processuali.

Dal 14 settembre 2006 è ospite fisso nella trasmissione di approfondimento giornalistico Anno Zero, condotta da Michele Santoro, dove conduce una rubrica dal titolo Arrivano i mostri.


sabato 14 giugno 2008

Mancuso: così Berlusconiè ricattato da Previti

Il documento in otto punti consegnato
dall'ex ministro al presidente Casini
Mancuso: così Berlusconiè ricattato da Previti

di GIUSEPPE D'AVANZO


ROMA - Filippo Mancuso li definisce "i fatti dimostrativi circa i rapporti fra Silvio Berlusconi e Cesare Previti". Otto "fatti" che, secondo l'ex Guardasigilli e transfuga di Forza Italia, sostengono l'accusa lanciata il 20 settembre nell'aula di una commissione Giustizia alle prese con la "legge Cirami". Suonava così, la denunzia: "Il presidente Berlusconi non è psicologicamente e moralmente libero (...) Dica Berlusconi che io sto mentendo quando asserisco che egli non è libero davanti a Cesare Previti, e che non è libero così nel Parlamento e nel Paese di svolgere moralmente il proprio compito".Gli otto "fatti" sono contenuti nel documento che l'onorevole ha consegnato al presidente della Camera Pierferdinando Casini al termine del suo intervento. Qui di seguito ne pubblichiamo una sintesi.1. Via del Plebiscito. "Nel pomeriggio del 28 giugno 2000 - scrive Mancuso - vengo inaspettatamente chiamato nello studio di Berlusconi, in via del Plebiscito dove trovo presenti Pisanu, Letta e, mi pare, saltuariamente Paolo Bonaiuti. L'esigenza di questa riunione nasceva da due telefonate ricevute da Berlusconi: la prima, da parte di Giuliano Amato, allora presidente del Consiglio, e l'altra da parte dell'on. Fassino, ministro di Grazia e Giustizia, entrambe aventi ad oggetto l'amnistia e/o condono, allora attuale per molteplici ragioni (ricorrenza giubilare, sollecitazioni vaticane, situazione penitenziaria...).La seconda conversazione telefonica approda alla conclusione che il giorno dopo vi sarebbe stato un incontro ufficioso sul tema fra Berlusconi e Fassino. Dopo di che vengono decise subito due cose: che sarebbe stato esclusivamente il sottoscritto ad accompagnare Berlusconi all'incontro, e che noi due ci mettessimo subito al lavoro per la preparazione della necessaria piattaforma propositiva della questione. (...)


Mentre è in corso la consultazione preparatoria tra me e Berlusconi, fa ingresso nello studio Letta, il quale, evidentemente nella veste di chi filtra le telefonate, dice così: "Presidente, c'è per te al telefono Cesare Previti che vuole parlarti subito". Mai avrei immaginato di ascoltare il formalissimo Berlusconi esplodere in una così furiosa reazione verbale negativa, una vera e propria esplosione di insofferenza e di stanchezza psicologica sigillata dal seguente ordine di servizio per Letta: "Digli, a questo signore, che non voglio assolutamente né vederlo, né sentirlo, neanche per telefono. Basta! Basta! Non si faccia vedere!". (...)Vedo allora Letta, evidentemente non persuaso, avanzare subito il seguente invito: "Presidente, ascoltami, è meglio per tutti che tu gli risponda, è assolutamente necessario farlo. Vieni al telefono e rispondigli". Il presidente esegue l'invito con l'aria di sentirlo alla stregua di una "proposta che non si può rifiutare". Il breve colloquio telefonico seguitone non saprei dire quale risultato abbia poi avuto. Sta di fatto però che, conclusolo, Berlusconi ancora in preda a forte agitazione, torna a sedersi davanti a me e parla come segue: "Scusami, Filippo, hai capito quali sono i miei rapporti con Previti? Non mi lascia in pace; a suo tempo per il ministero di Grazia e Giustizia, e via via un'infinità di pretese incessanti nella stessa materia. Ricordalo!"".2. Michele Saponara. "Nel corso della presente legislatura, per ben due volte, questo collega deputato, onestamente attento al divenire "dell'eterna questione Berlusconi-Previti", mi dice di sapere per certo che la preoccupazione di quest'ultimo (Previti) intorno alle note procedure di Milano era giunta a un tale punto di esasperazione da inviare all'altro (Berlusconi) una missiva di certissimo contenuto ultimativo. Nella quale, Previti latineggiava il seguente allusivo avvertimento: Simul stabunt simul cadent".3. Gaetano Pecorella. "Siamo al vicino tempo della discussione alla Camera del disegno di legge sulle rogatorie. Io più volte mi lamento della eccessiva rigidità delle posizioni di Forza Italia sugli emendamenti dell'opposizione. Mi sento contestare con concetti del genere: "Letta non vuole, Letta ha telefonato dicendo che la materia, per noi, è bloccata". Ciò essenzialmente ad opera della coppia danzante Elio Vito e Antonio Leone, capogruppo e vice capogruppo di F.I. alla Camera (...)In occasione di uno di tali miei dissensi, Gaetano Pecorella, presidente della commissione Giustizia, con irritazione e preoccupazioni visibili, mi partecipava di sua iniziativa un suo stato d'animo: "Non ne posso più dell'avvocato Previti, che parrebbe l'unico avvocato esistente; non mi dà pace con le sue continue pressioni, che talvolta accompagna con la inverosimile asserzione che io, con la pretesa fiacchezza nella conduzione del mio ruolo, starei dimostrando di 'volerlo in galera'." Gli chiedo perché non liquida la questione. Pecorella mi ribatte: 'E' molto difficile, tu sai chi c'è dietro, c'è Berlusconi'".4. Iole Santelli. "Non si voglia ritenerla cosa inelegante, ma ai fini della pienezza del quadro di subordinazione di Berlusconi è impossibile non tener conto della vicenda assai imbarazzante della nomina all'alta responsabilità di sottosegretario alla Giustizia di una giovane semisconosciuta neoparlamentare (Iole Santelli), già interna allo studio Previti. Pacificamente e all'evidenza trattasi di nomina proposta da Berlusconi, ma di esclusiva provenienza e diretto interesse previtiani, solo queste essendo le credenziali per tali designazione e nomina".5. Il giudice costituzionale. "Durante la primavera di quest'anno, Berlusconi abbandona la sua stessa personale designazione (Filippo Mancuso, ndr). Ne segue la surrogazione di tale candidatura con quella di un intimo, attuale e continuativo sodale professionale dello studio Previti (Romano Vaccarella, ndr): surrogazione da quest'ultimo prima ventilata e poi chiaramente comunicata al sottoscritto. Si tratta di una designazione anch'essa voluta dal predetto personaggio (Previti) e formalizzata in un repentino e notturno mutamento di linea da parte di Berlusconi il quale, poi, una volta raggiunta la elezione del neo designato, non esita a dar fuori con una esclamazione piuttosto confessoria ("E' andata bene!") pronunciata addirittura nella solenne sede del Quirinale".6. La legge Cirami. "La vicenda è ancora in atto. Senato e Camera sono stati e sono da mesi alla frusta di una cosiddetta "urgenza e necessità", l'una e l'altra artificiose e strumentali. Motivo reale e determinante di cosiffatto andamento: il dover consegnare a tutti i costi il "prodotto finito" (...) Un "prodotto finito" mirato alla specifica finalità di avvantaggiare i processi milanesi dell'on. Previti, finalità purtroppo forte dell'indispensabile via libera del titolare unico del potere formale di comando politico, cioè Berlusconi".7. Cronologia. "La semplice cronologia costituisce un elemento anch'esso probatorio.1 marzo 2002: istanza alla Cassazione per la remissione del giudizio per Previti.30 maggio/3 luglio, la Corte di Cassazione accetta di sollevare la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 45 (remissione).5 luglio, viene presentato il disegno di legge Cirami al Senato.31 luglio, Berlusconi asserisce di non conoscere il motivo dell'urgenza.1 agosto, il Senato approva il d.d.l Cirami.30 agosto, Berlusconi muta d'avviso, senza mai fornirne una giustificazione, e dichiara che la Cirami costituisce una urgente priorità politica e istituzionale del governo. La logica espressa da questa cronologia non potrebbe essere più stringente di com'è nel confermare il sistema di sbarramento apprestato da Previti".8. Scioglimento delle Camere. "Tali minacce sono pervenute sia dal presidente della commissione Giustizia Pecorella sia dallo stesso presidente del Consiglio. Il senso di tali minacce è quello di una intimidazione ripetuta, a carico dei parlamentari che si apprestano a votare o a rivotare la materia, a temere le conseguenze di un eventuale rigetto della Cirami, vale a dire lo scioglimento presidenziale della Camere. Minacce, inaudite e irresponsabili, che sottintendono la possibilità che la maggioranza scontenta imponga al presidente della Republica di compiacerla con l'immediato esercizio del potere di scioglimento. Nessuno, tra gli eccessi di questa vicenda, dimostra più di questo l'intensità e la spregiudicatezza dell'interesse messo in campo".(26 settembre 2002)

venerdì 13 giugno 2008

Intervista di Peter Gomez a Bruno Tinti

da L’Espresso del 19 giugno 2008
Argomenti pretestuosi. Dati falsi o infondati. Così la politica dà l’assalto alle intercettazioni. per imbavagliare le indagini, sottrarsi al controlli e coprire i comportamenti illegali. Parola di pm.Spesso la tutela della privacy rappresenta solo la tutela dei propri panni sporchiI costi? La verità è che con le intercettazioni lo Stato ci guadagna oppure va in pari.Era nel suo programma e Silvio Berlusconi lo ha ribadito a Santa Margherita Ligure tra gli applausi scroscianti dei giovani della Confindustria: intercettazioni d’ora in poi consentite solo nelle inchieste di mafia e terrorismo e cinque anni di carcere per i giornalisti che le dovessero pubblicare.La grande controriforma del Cavaliere avanza a passi veloci verso il Consiglio dei ministri in cui il Guardasigilli Angelino Alfano la tradurrà in disegno legge.La maggioranza però non è compatta.La Lega vuole che gli ascolti restino anche per altri reati, a partire da quelli di corruzione e concussione. An nicchia.Su un punto però in Parlamento e al Quirinale tutti, o quasi, sono d’accordo: in Italia s’intercetta troppo, si spende troppo e si viola troppo la privacy dei cittadini.Per questo il presidente Giorgio Napolitano invita ad approvare una legge condivisa trovando porte spalancate anche nel Pd.Ma davvero esiste in Italia un’emergenza intercettazioni?“L’espresso” ne ha discusso con un tecnico, il procuratore aggiunto di Torino Bruno Tinti, autore tra l’altro del bestseller “Toghe rotte. La giustizia raccontata da chi la fa”, 100 mila copie vendute che illustrano bene le cause del mal funzionamento dei tribunali in Italia.E, dati alla mano, ha scoperto che le cose stanno in maniera molto diversa, rispetto a quanto ripetuto nelle aule parlamentari.Per Tinti, infatti, questa lotta alle intercettazioni non è altro che la decisione di parte della classe politica e dirigente italiana di sottrarsi al controllo di legalità.Perché tutti gli argomenti utilizzati per giustificarla sono infondati o falsi ...Ma come? Il ministro Alfano afferma che da noi s’intercettano ogni anno più di 100 mila persone, è un numero enorme ...«Sì, ma si tratta di un dato non veritiero. Perché si fa confusione tra utenze ed utenti.Un conto sono gli apparecchi messi sotto controllo, che possono benissimo essere 100 mi-la, e un conto è il numero degli intercettati.A Torino, per esempio, mediamente si mettono sotto, come diciamo in gergo, dieci utenze a persona».Cioè controllate anche i familiari e amici? Mi pare grave ... «Ma no! Il fatto è che chi delinque sa benissimo di poter essere intercettato.E allora non utilizza il proprio telefono ufficiale per le attività criminali.Noi quindi andiamo a caccia dell’apparecchio buono.Partiamo da quello che conosciamo, spesso la sua utenza fissa, la ascoltiamo e se nel giro di due o tre giorni capiamo che non è giusto, lo molliamo e passiamo agli altri.Così, di telefono in telefono, arriviamo a trovare quello esatto.Le prime intercettazioni, quelle che gonfiano le statistiche, durano pochissimo.Nel caso degli spacciatori, poi, è prassi che ciascuno di essi utilizzi più schede telefoniche o contemporaneamente o in successione».Però l’aumento delle intercettazioni c’è stato: le utenze messe sotto controllo durante il 2003 erano 78 mila. Oggi sono 125 mila ...«Sì, ma è falso che si tratti di una crescita abnorme.Anche in questo caso, come quando si dice che buona parte del Paese è intercettata, si dice una cosa non vera.E per rendersene conto è sufficiente osservare i dati: la curva dei telefoni in uso cresce di anno in anno e così cresce anche quella delle intercettazioni.Ma la seconda curva sale meno della prima. E anzi molto più bassa».Per lei le critiche insomma arrivano da chi non conosce la situazione ...«O fa finta di non conoscerla.Basta guardare un’altra curva, quella dei reati.Nel 2007 erano circa tre milioni, con un aumento del 5,15 rispetto l’anno precedente.Ebbene la curva dei reati e quella delle intercettazioni sostanzialmente coincidono, perché se aumentano i reati aumentano gli ascolti.Ma allo stesso modo, non in misura maggiore».Quindi non c’è l’abuso denunciato dalla politica?Guardi, noi a Torino noi ogni anno apriamo circa 200 mila fascicoli d’indagine, 25 mila dei quali sono contro indagati noti. Ebbene solo in 300 fascicoli vengono richieste intercettazioni».Sì, però da più parti si fa notare che vi occupate poco della delinquenza comune, e molto di quella che riguarda le classi dirigenti. In fondo è proprio così che un magistrato finisce sui giornali ...«Quando leggo certe cose, mi arrabbio davvero.Le spiego esattamente cosa accade qui, premettendo che i nostri numeri sono so-stanzialmente speculari a quelli nazionali.Ebbene, quei 300 fascicoli nei quali si fa ricorso alle intercettazioni, magari contro più persone, sono suddivisi così.Il 50 per cento riguardano il traffico di droga.Il 15 per cento omicidi consumati o tentati e reati contro la persona.Un altro 15 per cento attiene poi alla criminalità organizzata».E il resto? Tutte intercettazioni di colletti bianchi?«Macché. Sul 20 per cento che rimane la metà è rappresentata da fascicoli a tutela delle cosiddette fasce deboli: parlo di violenze sessuali odi pedofilia.Solo con le intercettazioni si possono trovare prove che reggano le verifiche dibattimentali.Il disegno di un bimbo che racconta la violenza subita basta per aprire un’inchiesta, non per arrivare a una condanna.I fascicoli riguardanti i reati contro la pubblica amministrazione e contro l’economia sono pochi: insomma, solo un trentina su quei 300».Ma al di là dell’utilità, c’è il problema dei costi. Alfano dice che per le intercettazioni va via il 33 per cento delle spese di giustizia.«Altra cosa non vera.Nel 2007 lo Stato ha messo a bilancio per la giustizia più di 7 miliardi e mezzo di euro e ne ha spesi 224 milioni per gli ascolti.Si fa confusione tra il budget complessivo del ministero e una delle sue voci, le “spese di giustizia” appunto, che ricomprendono anche i compensi a periti e interpreti, le indennità ai giudici di pace e onorari, il gratuito patrocinio, le trasferte.E poi non si dice che con le intercettazioni lo Stato ci guadagna o va in pari».Come ci guadagna?«Pensi a quello che accade con quel 10 per cento di ascolti dedicati alla criminalità economica e finanziaria. Per scoprire il cosiddetto carosello Iva (le truffe sui rimborsi Iva) e le fatture false non bastano purtroppo le verifiche della Guardia di finanza.La contabilità è infatti sempre perfettamente in ordine.Senza intercettazioni noi come facciamo a dimostrare che quelle fatture, transitate per una società ungherese per poi andare nel Dubai, sono false?E come facciamo a scoprire i ritorni in nero e sequestrare il denaro?A Milano i miei colleghi nell’inchiesta sulle cosiddette scalate bancarie hanno speso 8 milioni di euro.Ma già oggi i 64 indagati, per ottenere di patteggiare, di milioni ne hanno versati 340.E parte di quel denaro è stato messo a bilancio dallo Stato per la costruzione di nuovi asili».Ma i costi si possono comunque ridurre?«Certo e lo si sta già facendo, anche se si potrebbe fare molto di più».Come?«Una parte significativa delle spese è dovuta ai soldi che lo Stato versa alle società di gestione telefonica per noleggiare le linee.Ma i gestori, parlo di Telecom, Wind, Vodafone e gli altri, sono aziende che operano in regime di concessione e che guadagnano molti soldi.Allora qualcuno mi vuol far capire perché lo Stato non inserisce nei contratti una clausola che preveda assistenza gratuita, o quantomeno a prezzi molto bassi, per le intercettazioni?».In ogni caso solo poco più del 20 per cento dei soldi spesi sono imputabili al noleggio linee ...«Sì, e infatti c’è anche un’altra follia.Il ministero noleggia tutti gli impianti, le microspie, i sistemi di localizzazione satellitare.C’è da chiedersi perché non se li compri. O almeno perché le cimici, i Gps e le microcamere non vengano acquistate dal ministero degli Interni che dovrebbe fornire alle forze di polizia tutti gli strumenti utili alle indagini».Dicono che l’innovazione tecnologica è tale da rendere impossibile per lo Stato starle al passo ...«E chi se ne importa!Un apparato completo per le intercettazioni come quello che utilizziamo a Torino costa più o meno 2 milioni di euro.Solo che noi lo noleggiamo e così di milioni all’anno ne spendiamo quattro.Insomma l’hardware di questo tipo si ammortizza in sei mesi.E visti i prezzi, una volta acquistato si potrebbe benissimo cambiarlo ogni due anni – cosa che oggi non avviene – continuando a risparmiare.Ma non basta, perché con un apparato simile noi potremmo effettuare intercettazioni per tutte le procure del Piemonte.Ma per farlo bisogna centralizzare i punti d’ascolto».Intanto però le indagini diventano intercettazioni-dipendenti. È stato dettoche la polizia non sa più fare i pedinamenti.«Mi pare logico: la criminalità usa i telefoni satellitari e i computer e noi li seguiamo a piedi.Anche negli ospedali oggi si usano le Tac e nessuno si lamenta per il declino dello stetoscopio ...Ma come si fa a dire una cosa del genere?».Resta la questione della privacy, delle storie personali che finiscono sui giornali anche se non ci sono reati.«Guardi, se analizziamo quanto è accaduto in questo paese ci rendiamo conto che quello della privacy è un discorso finto, utilizzato da chi nella classe politica e dirigente vuole semplicemente nascondere le proprie malefatte.Pensi che, come esempio di privacy violata, viene spesso citata la pubblicazione di un sms di Anna Falchi.Voglio dire: c’è una signora, che si è tolta le mutande in diretta televisiva, la quale si lamenta perché è stato intercettato un messaggio in cui diceva “tanti baci caro, ti amo”.Certo, si poteva benissimo evitare di pubblicarlo, ma siamo seri, non mi pare che questo sia il punto».E allora qual è, secondo lei?«È una questione di costi e benefici.Se vogliamo combattere il crimine bisogna accettare l’intromissione nella sfera privata di pochi cittadini.Per fare la frittata, cioè arrestare un assassino o un corrotto, bisogna rompere le uova».Ma la pubblicazione di fatti privati non attinenti alle indagini, è un problema ...«Sì e lo si può risolvere. Ma la verità è che sui giornali non avviene quasi mai una violazione ingiustificata della privacy.Questa si verifica solo quando vengono resi noti farti privati di persone verso le quali non esiste un interesse pubblico.La storia di corna del salumiere non mi pare che di solito finisca sulla stampa.Sul giornale leggiamo invece i fatti che riguardano le classi dirigenti».Che a volte non sono reato ...«Allora distinguiamo. Ci sono fatti di rilevanza penale che si possono pubblicare una volta che l’indagato ne ha avuto conoscenza.Per farlo non è necessario attendere il processo.Se l’episodio è rilevante l’opinione pubblica non può aspettare dieci anni prima di sapere.Non è forse giusto che i cittadini e gli investitori conoscano i rapporti tenuti dall’ex governatore di Bankitalia con i protagonisti della scalate bancarie del 2005?A me pare di sì».E quelli non penalmente rilevanti?«Se fanno capo a un uomo pubblico interessano l’opinione pubblica.Quel deputato che andava a prostitute e tirava cocaina, probabilmente non ha commesso reati.Ma visto che era un sostenitore della famiglia e un proibizionista, credo che i suoi comportamenti possano essere legittimamente conosciuti dai cittadini.E il discorso vale pure per me.Se io, che sono un magistrato, andassi tutte le settimane a caccia nella tenuta di un mafioso, non commetterei un reato.Ma qualcuno vuole sostenere che chi lo scrive viola la mia privacy?Ma andiamo, la tutela di questa privacy in realtà è solo la tutela dei propri panni sporchi.Non risponde a un’esigenza etica.E’ la dimostrazione che in Parlamento c’è chi non vuole far conoscere le porcherie di cui si è reso protagonista»