lunedì 26 maggio 2008

Ogni tanto uno si chiede se sogna o se è desto


Qualche volta questo succede quando si vive una situazione troppo bella per essere vera; che so: una ragazza bellissima ha appena accettato di uscire a cena con te. Non ci posso credere!, si dice il fortunato.Molto più spesso però l'esperienza para onirica è di tipo negativo. L'esempio tipico e ricorrente riguarda le iniziative adottate dalla classe politica nei più disparati settori; si resta increduli. Almeno, io resto incredulo nel settore di cui ho una qualche esperienza, quello della Giustizia. Poi mi rendo conto che è tutto proprio vero e mi …. arrabbio; poi mi deprimo; poi mi rassegno.Veniamo al dunque: il cosiddetto pacchetto sicurezza.Per la verità, straordinariamente, qualcosa di intelligente vi è stato inserito: hanno abolito il patteggiamento in appello (almeno, così si legge nella prima versione del testo reperita su Kataweb). Trattasi di una delle situazioni para oniriche del primo tipo, quelle della ragazza bellissima che accetta di uscire a cena con te: da non crederci. E infatti mi sa che non resisterà agli aggiustamenti successivi e che alla fine il patteggiamento ce lo ritroveremo reintrodotto a furore di popolo … avvocatesco.Poi c'è un'altra cosa furba: la subordinazione della sospensione condizionale della pena all'eliminazione delle conseguenze del reato. Per capire bene di che si tratta bisogna sapere che se uno è incensurato e viene condannato a una pena inferiore ai due anni di reclusione, non va in carcere: la pena resta sospesa per 5 anni e, se questo non commette altri reati, non la sconterà mai; se invece commette un altro reato sconta sia la pena per il reato nuovo che quella che gli era stata sospesa.Bene, questo beneficio, dice il nuovo pacchetto sicurezza, può essere concesso solo se il condannato elimina le conseguenze dannose del reato; insomma se rimette tutto a posto o risarcisce il danno cagionato.Una cosa ovvia, si può pensare; ma nel nostro sistema penale l'ovvio è merce rara; e una cosa così intelligente non si era mai vista.Anche qui uno pensa: ma davvero questa bellissima ragazza viene a cena con me?Poi scopre che è tutto vero, ma solo per il reato di cui all'art. 635 codice penale.Di che si tratta?; beh, è il reato della fidanzata tradita, quella che va sotto la casa del fidanzato e gli riga la macchina o gli buca le gomme.In questi casi, dice il pacchetto sicurezza, la fidanzata non andrà in prigione se porta la macchina dal carrozziere per farla riparare o se compra un treno di gomme nuovo.E tutti gli altri reati? Che so, una villa costruita in cima a un promontorio in riva al mare, in zona sottoposta a vincolo paesaggistico e, naturalmente, costruita senza licenza. Oppure un bel palazzone di 10 piani costruito in zona destinata a parco pubblico. Oppure un appalto concesso a chi non doveva averlo e che lo ha avuto perché ha pagato un sostanziosa busta (con danno ovvio per chi invece l'appalto avrebbe dovuto averlo). Oppure una pubblica fornitura eseguita con materiale di scarto. Oppure un bel falso in bilancio con il quale l'amministratore della società si è portato via la liquidazione di quei 200 o 300 soci che l'avevano investita… Oppure fate voi, tutto quello che leggiamo sui giornali ogni giorno.Ecco, per tutti questi reati il discorso non vale. Qui la sospensione condizionale della pena viene concessa subito, la villa o il palazzo non vengono demoliti e nemmeno sottratti a chi li ha costruiti che continua a starci dentro; l'appalto ormai è stato eseguito e le fatture vengono pagate; i danni eventuali saranno richiesti con un bel processo civile (tanto lo sanno tutti che i giudici civili lavorano poco e hanno tanto tempo a disposizione) e se va bene saranno pagati tra una decina d'anni. E il falso in bilancio? Beh, ma per quello, si sa, il processo manco comincia…Allora si capisce che siamo nel solito brutto sogno e che purtroppo è tutto vero.Dove proprio piombiamo in un incubo è quando leggiamo della nuova arma decisiva per la lotta all'immigrazione clandestina, dello strumento che risolleverà le patrie sorti e libererà l'Italia dalla piaga endemica dei clandestini: il nuovo reato di immigrazione clandestina, punito da 6 mesi a 4 anni.Per capire bene in che pasticcio ci stiamo cacciando, andiamo per ordine.Chi dunque è immigrato clandestinamente in Italia, secondo i nostri Solone (trattasi di un celebre legislatore dell'antichità) commette reato.Ogni reato deve essere denunciato e l'autore di esso deve essere processato. Quindi diventa imputato.Come ogni imputato, anche questo, che da adesso chiamiamo Alì Ben Mohamed deve essere iscritto nel registro degli indagati (tempo medio – di un segretario bravo – minuti 5)Alì Ben Mohamed in verità è anche detenuto perché Solone ha pensato di prevedere che l'immigrato clandestino deve essere obbligatoriamente arrestato.Siccome Solone ha anche pensato che Alì Ben Mohamed deve essere giudicato con rito direttissimo, nelle 48 ore il nostro viene portato in Tribunale.Questo significa che:1) Il PM deve preparare una richiesta di giudizio con rito direttissimo (tempo medio minuti 5 – il provvedimento presumibilmente sarà preparato una volta per tutte e dovrà solo essere completato con le generalità di Alì Ben Mohamed e qualche altro dato variabile).2) Bisogna anche annotare la cosa nel registro generale informatico (tempo medio minuti 1)3) Poi questa richiesta deve essere trasmessa al Tribunale che dovrà annotarla anche lui nel registro informatico (tempo medio minuti 1) e predisporre l'udienza.4) Nel frattempo il PM non ha finito: deve ordinare alla scorta di portare Alì Ben Mohamed in Tribunale per domani o dopodomani: tempo medio minuti 1, si fa tutto via fax.5) Deve ancora citare un interprete per il processo perché Alì Ben Mohamed non parla l'italiano o comunque dice di non parlarlo e tu non puoi provare il contrario (tempo medio minuti 1)6) Naturalmente l'interprete deve essere pagato e ciò richiede una serie di incombenti amministrativi (diciamo tempo medio minuti 5)7) infine il Pm deve citare i testimoni (sarebbe il poliziotto che ha beccato il clandestino) altro provvedimento, altro fax, tempo medio minuti 1. Magari il poliziotto ha appena finito il turno oppure è di turno in un altro posto; ma deve venire apposta in Tribunale per dire che in effetti lui ha beccato il clandestino e che questo non aveva il permesso di soggiorno. Deve venire per forza perché il suo rapporto, quello che aveva scritto allora e che racconta come si sono svolte le cose, non può essere dato al giudice se l'avvocato difensore si oppone; e, per la verità, se l'avvocato difensore non si opponesse non farebbe il suo dovere, che consiste, tra l'altro, nel far durare il processo più a lungo possibile per tardare il momento della sentenza e per arrivare alla prescrizione.Se Alì Ben Mohamed viene portato in Tribunale, se l'interprete viene, se il poliziotto viene, il processo si fa (tempo medio ore 1): si interroga il teste, PM e difensore parlano un po' e spiegano perché l'imputato deve essere condannato e prosciolto, il giudice si ritira e poi ritorna e legge la sentenza. Prevedibilmente sarà di condanna e la tariffa si attesterà sul minimo (succede sempre così) 6 mesi, meno le attenuanti generiche, mesi 4; magari la pena sarà anche convertita in pena pecuniara, 38 euro al giorno per 120 giorni, uguale 4560 euro.Poi però il giudice deve ancora scrivere la sentenza (tempo medio mezz'ora, anche qui è prevedibile un modello prestampato) .Insomma, per fare tutto questo hanno lavorato 1 PM, 1 giudice, due segretari (uno del PM e uno del giudice) 1 cancelliere per l'udienza, un numero variabile di poliziotti (chi lo ha arrestato, chi ha fatto il rapporto, chi lo ha portato in carcere etc.), la Polizia penitenziaria della scorta, 1 interprete e 1 funzionario amministrativo che gli ha liquidato il compenso che gli tocca. Tempo medio complessivo (senza considerare il lavoro di poliziotti & C) ore 2.In realtà quasi sempre il processo per direttissima non si farà; perché quel giorno di direttissime ce ne sono 15 o 20; non c'è solo l'immigrazione clandestina che prevede il rito direttissimo. Ancora si commettono reati di porto d'armi e ancora ci sono casi di direttissima per reati piuttosto gravi (per esempio traffico di droga); poi ci sono gli altri reati della Bossi Fini che fanno concorrenza a questo nuovo arrivato.Insomma, nel 70 % dei casi (ma sono ottimista) il processo sarà rinviato. A quando? Mah, da 1 mese a 6 mesi.Il clandestino naturalmente è in giro per i fatti suoi da subito dopo la sentenza.Eh già, perché, se è incensurato, Alì Ben Mohamed ha diritto alla sospensione condizionale della pena.Ma soprattutto ci saranno un sacco di motivi per i quale in realtà Alì Ben Mohamed sarà prosciolto. Il punto è che il codice penale prevede una scriminante (sarebbe una causa di giustificazione): lo stato di necessità, ad esempio (art. 54 del codice penale). Forse Solone non lo sa, ma si tratta di una cosa che vale per tutti, anche per i clandestini.Così se Alì Ben Mohamed dice che lui era entrato in Italia con visto turistico per stare insieme con la moglie e il bambino piccino che erano qui legalmente; che poi la moglie è scappata con un altro, lasciando lui e il bambino piccino; e lui mica poteva lasciare il bambino piccino in mezzo alla strada, ecco che il giudice lo assolve per aver agito appunto in stato di necessità.Oppure Alì Ben Mohamed potrebbe dire che le sue preferenze sessuali sono non del tutto ortodosse e che nel suo Paese a quelli come lui gli fanno cose brutte e definitive, sicché lui al suo Paese proprio non può tornarci. E anche qui stato di necessità.Oppure … ma qui la fantasia (e l'abilità di un bravo difensore) può esercitarsi e di fatto si esercita molto liberamente.Sicché che questo odioso immigrato clandestino venga condannato non è proprio del tutto certo.In ogni modo, anche se condannato, Alì Ben Mohamed rarissimamente resterà in carcere. E, se anche ci resta, dopo 9 mesi deve essere buttato fuori per espressa disposizione di legge (sono le norme sui termini di carcerazione preventiva, questa cosa orribile che viene sempre vituperata tranne, pare, per Alì Ben Mohamed).Comunque stiano le cose, Alì Ben Mohamed ha anche un altro diritto (lo so, non sta bene che gli si riconoscano tutti questi diritti, però, che ci si vuol fare, è la legge): può fare appello contro la sentenza di condanna. E siccome l'appello non gli costa nulla, anche perché ha un difensore di ufficio che viene pagato dallo Stato (dal popolo per la verità, cioè anche da me, mannaggia), lui lo fa di sicuro.Questo significa che la cancelleria del giudice che lo ha condannato deve trasmettere tutto alla Corte d'Appello che poi deve fare un certo numero di notifiche e poi un nuovo processo.Non voglio rifare la tabella tempi e metodi di cui sopra. Ma ognuno capisce che tutto questo non si fa senza che un certo numero di persone ci lavori sopra e per un certo periodo di tempo. Ah, dimenticavo, qui i giudici che si debbono occupare di Alì Ben Mohamed sono 3.Se la sentenza viene confermata, non è mica finita. Perché Alì Ben Mohamed ha ancora questo diritto di fare ricorso in Cassazione, dove altri 5 giudici si occuperanno di lui; il tutto previa una serie sterminata di trasmissioni atti (a Roma !!!), adempimenti procedurali e notifiche.E la Cassazione magari confermerà che Alì Ben Mohamed è proprio colpevole e che la pena inflittagli è giusta.Ma, e qui la cosa si fa interessante, in realtà Alì Ben Mohamed non deve stare in carcere, deve essere espulso; Solone ha deciso che il giudice , con la condanna, ordina l'espulsione.Questa cosa è bellissima; Solone proprio non sa o non ha capito niente di quello che succede.Dunque, ordine di espulsione, si avvia il procedimento amministrativo per l'espulsione di Alì Ben Mohamed. In soldoni il questore gli notifica un provvedimento che dice che lui deve andare via.Ovviamente Alì Ben Mohamed se ne frega e non va via.Resta a fare il clandestino che a questo punto ha commesso anche un altro reato, quello previsto dall'art. 14 comma 5 ter della Bossi Fini. Sicché quando lo prendono di nuovo, lo denunciano anche per questo nuovo reato.Anche per questo reato si fa la direttissima; e quindi si riapre tutto quello scenario descritto più sopra, un sacco di gente lavora su Alì Ben Mohamed per un sacco di tempo.Qui Solone dovrebbe sapere che l'assoluzione è la norma; e non perché i giudici sono una manica di incapaci, lassisti, comunisti. Ma perché la situazione (vera, verissima) che Alì Ben Mohamed racconta è la seguente.Cari giudici io ho provato ad ottemperare all'ordine di espulsione e, a mie spese, mi sono recato alla frontiera con la Spagna; però lì, quando gli ho fatto vedere l'ordine di espulsione (non i miei documenti perché io non li ho, me li hanno rubati – come si dice, se non è vera è ben trovata) mi hanno detto che non se ne parlava nemmeno e che loro non mi facevano entrare. Quindi ho provato nell'ordine e sempre a mie spese, in Francia, in Svizzera, Austria e Croazia; ma anche lì mi hanno cacciato via.In aereo, sempre per via della mancanza di documenti, non mi hanno voluto far salire. Allora ho provato con una nave ma anche lì non mi hanno voluto. Che posso fare?Eh, dice il PM, magari ha ragione lui, io lo so che questa cosa è vera se uno non ha i documenti. Però Alì Ben Mohamed è un furbacchione e i documenti ce li ha, solo che non li vuole far vedere e mente.Eh no, salta su il difensore, il PM non può "supporre" (intanto fa un ghigno di compatimento) che il mio assistito abbia i documenti e che volontariamente non li presenti; lo deve "provare". Lei lo può provare PM, mi dica lo può provare? Il PM si fa piccino piccino e con un filo di voce dice che effettivamente …Il giudice assolve.Alì Ben Mohamed probabilmente finirà in un CPT (questa è bellissima, il nuovo pacchetto sicurezza contiene una norma decisiva per la lotta alla criminalità in genere e a quella degli immigrati clandestini e no in particolare: i centri di permanenza temporanea non si chiameranno più così, si chiameranno da adesso in poi centri di identificazione ed espulsione. Insomma non più CPT ma CIP che, obbiettivamente, è più tenero, ricorda lo scoiattolino dei fumetti).Magari il Giudice che giudica Alì Ben Mohamed per una volta non è né incapace, né lassista né comunista, e lo condanna.Così anche qui Alì Ben Mohamed fa appello, ricorso per Cassazione e intanto gira in strada dove fa danni. Eh si, perché siccome è clandestino e pregiudicato, non trova lavoro. Anche lui ha il vizio di mangiare; poi a casa sua ci sono mogli e bambini piccini che hanno bisogno di mangiare anche loro. Sicché che farà: spaccia, probabilmente, oppure fa contrabbando di sigarette o vende CD taroccati (è una cosa gravissima, quell'altro Solone, quello di prima, avevano previsto una pena fino a 8 anni di reclusione!!).Tutto questo scenario, secondo il Solone di adesso, dovrebbe essere moltiplicato per 650.000. Magari 650.000 proprio no, forse 500.000, forse 400.000. Chi lo sa?Tanto la magistratura deve solo attrezzarsi e ottemperare ai suoi compiti istituzionali , senza sterili e incostituzionali lotte con il potere politico.E' ridicolo solo a pensarsi, figuriamo a dirlo o a scriverlo.500.000 processi per questo nuovo reato non potrebbero mai essere fatti. E vero che non si può peggiorare un sistema penale come il nostro. E' già morto del tutto.Ma insomma….Un'ultima cosa.Forse non c'è motivo di essere così pessimisti: Forse non succederà niente di tutto questo.Vedete, nel testo del decreto sicurezza che c'era su Kataweb questo nuovo reato è previsto così: "lo straniero che fa ingresso nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni del presente Testo Unico (sarebbero le norme sull'immigrazione) è punito etc."Questo significa che il reato viene commesso nel momento in cui lo straniero fa ingresso nel territorio dello Stato.Siccome anche Solone sa (lo sa?) che c'è l'art. 2 del codice penale che dice che nessuno può essere punito per un fatto che secondo la legge del tempo in cui fu commesso, non costituiva reato; e siccome questa nuova legge non c'era (proprio perché è nuova) quando i 650.000 sono entrati; ecco che i nostri clandestini possono stare tranquilli. Loro sono entrati clandestinamente quando la cosa non era reato.Certo, possono essere espulsi, ripescati, denunciati perché non hanno obbedito all'ordine di espulsione, tutto come prima. Però per il reato di immigrazione clandestina non possono essere processati.I nuovi, quelli che entreranno dopo l'entrata in vigore della legge, questi si, dovranno essere sottoposti a processo. E siccome non dovrebbero essere del tutto cretini; o comunque i loro difensori qualcosa gli suggeriranno, certamente ci diranno che è vero che sono clandestini ma sono entrati nel 2007 (a fare tanto) e da allora mai nessuno li ha fermati …..Speriamo che siano pochi.Domanda finale.Se Solone gli immigrati non li vuole proprio, ma perché non li espelle da solo con tanti bei provvedimenti amministrativi fatti da questori, prefetti, sindaci e compagnia cantante; e non lascia i magistrati in pace a fare il loro lavoro?Io avrei un po' di falsi in bilancio, frodi fiscali, corruzioni e robette di questo genere che aspettano sul mio tavolo…

di Bruno Tinti (curatore di Toghe rotte)

giovedì 22 maggio 2008

Anniversario Falcone: Stragi del 93

Anniversario Falcone: Stragi del 93


Scritto da Giorgio Bongiovanni

giovedì 22 maggio 2008 11:45

Intervista esclusiva di Giorgio Bongiovanni all' avvocato di Riina Firenze, 7 aprile 2008. Arriviamo allo studio dell’avv. Luca Cianferoni in leggero anticipo. E’ da anni l’avvocato del capo dei capi Totò Riina ed è per questo che vogliamo incontrarlo.Più volte nella difesa del suo cliente, soprattutto durante i processi per le stragi del ’93, ha posto questioni a nostro avviso molto importanti per l’individuazione dei mandanti esterni delle stragi.E’ un uomo colto, di larghe vedute, rigoroso nell’esercizio del suo mandato e sufficientemente esperto e avveduto per fornirci interessanti spunti di riflessione, in particolare su elementi di prova che, a suo avviso, non sono stati sufficientemente analizzati nel corso dei vari dibattimenti.La sua visione di quegli anni è complessa e complessiva e rimanda per forza di cose a responsabilità altre rispetto a quelle strettamente esecutive di Cosa Nostra in un’inquietante linea di continuità con il passato da Portella della Ginestra alla strage di Piazza Fontana. Anche da questo colloquio emerge con prepotenza la certezza che la verità sulle ragioni politiche e strategiche che hanno causato le stragi è ancora molto lontana e la nostra storia insegna che nemmeno il tempo, fino ad ora, è stato galantuomo. Prima o poi, però, lo sarà. Non ci sarà mai un vero cambiamento nelle nostre vite, fino a quando non verranno alla luce queste verità, solo allora, con la caduta dei sistemi criminali si potranno intravedere nuove albe e nuovi giorni.

Avvocato Cianferoni quale relazione sussiste tra le stragi del ’92 e del ’93?

A mio avviso vi sono differenze sostanziali tra le due stagioni stragiste. La vicenda Falcone ad esempio ha una sua specificità strettamente siciliana e proprio questa specificità decresce man mano che ci si avvicina agli episodi continentali. Dallo studio degli atti mi sono convinto che il contesto del ’93 sia molto diverso rispetto a quello del ’92.Vi è poi un dato processuale, quello per cui è stata negata la continuità con i fatti del ’92, che esclude completamente la consequenzialità dei due disegni criminosi. E sebbene Riina fosse già in carcere all’epoca delle bombe del ’93 gli viene imputata la responsabilità in quanto, secondo la Corte, egli era il capo assoluto di Cosa Nostra quindi causa causae est causa causatis. Tuttavia, in concreto, come si arriva alle stragi e quale sia il percorso decisionale non viene spiegato.

Beh ma anche le stragi del ’92, secondo i documenti, hanno una forte connotazione eversiva.

Sì ma le differenze sono enormi. Le stragi Falcone e Borsellino che comunque presentano già tra loro grosse diversità, erano comunque contra personam, queste sono dirette ad edifici, sono un messaggio. Che a mio avviso non è diretto allo Stato, ma viene da un potere ed è indirizzato ad un altro potere.Prendiamo in esame un aspetto che a mio avviso non è stato sufficientemente investigato: lo schema operativo. Non si organizza una strage di questo tipo in soli 5 mesi. Questi sono delitti che si tirano fuori dal cassetto, già pronti, e si organizzano in 10 giorni perché si conoscono perfettamente le procedure e anche gli effetti destabilizzanti che creano. Sistemi che sono stati utilizzati per decenni nel conflitto tra “partito azzurro” e “partito arancione” quando si ricorreva alla guerriglia per arginare l’avanzata comunista. Si estrae dal cassetto ciò che serve.All’inizio degli anni Novanta stava per sovvertirsi il sistema.Partiamo da questa ipotesi che non è mai stata contestata dal mio cliente, sebbene nemmeno l’abbia avallata.Vi è una concorrenza di forze che hanno interesse a incidere in maniera eversiva sul tessuto nazionale in quel preciso momento storico. Cosa Nostra per la questione del 41 bis, i servizi segreti civili per i problemi che hanno, per stare sulle generali, in quel momento storico; il mondo imprenditoriale politico e la massoneria la quale, io credo, non sia assolutamente da demonizzare nella sua interezza, anzi penso che rappresenti un momento intellettuale altissimo visto l’attuale oscurantismo in cui viviamo, ma che storicamente, in quel momento storico, soffriva di pesanti infiltrazioni negative. E’ in questo contesto, che va inserita quella dichiarazione di Craxi in un’intervista a Panorama: “Me ne vado perché ci aspetta una stagione di bombe”. E purtroppo i fatti gli dettero ragione a brevissimo.

I collaboratori di giustizia tra cui Brusca suggeriscono che si è voluta continuare la trattativa.

A mio avviso nelle carte processuali vi sono dei riferimenti, oserei dire, abbastanza ridicoli. Quando Brusca riferisce che erano in minoranza a voler fare queste stragi, che abbiano deciso gli obiettivi scegliendoli sull’atlante…Ora, il mio cliente, Salvatore Riina, che è imputato in due differenti procedimenti: uno per cui la sua posizione era stralciata assieme a Graviano Giuseppe per problemi di pendenze, l’altro nato da un vizio procedurale del precedente (si annulla la prima sentenza solo sulla vicenda Olimpico), durante il processo, che viene riaperto nel 2004 proprio sui fatti del ’93 e sul mancato attentato, rilascia quelle famose dichiarazioni spontanee in cui ricordando che l’allora Ministro Mancino aveva preannunciato la sua prossima cattura suggerisce: “Sono stato venduto?”Quindi se i magistrati cercavano un atteggiamento collaborativo, questo non appartiene alla figura dell’imputato che io conosco e difendo, se invece ci si vuole accostare a questi eventi come interpreti storici, anche perché, seppur pochi, questi anni che sono trascorsi, al ritmo di vita cui viviamo oggi, sono abbastanza per fare delle analisi, si comprende che Riina ha assunto una posizione piuttosto chiara, no?

Cioè?

Cioè Riina dice: “io con questi fatti del ’93 non ho nulla a che spartire e, per quanto apprendo da questo processo (le dichiarazioni di Brusca sulla trattativa ecc..) e deduco dalla dichiarazione del Ministro, il mio arresto era concordato perché si era individuata una pista investigativa per cui io dovevo essere catturato.

Eppure Brusca spiega in merito alla trattativa, con quell’ espressione “Si sono fatti sotto”, che vi erano degli interlocutori con cui Riina era in contatto.

Mi ricordo distintamente quell’udienza. Era del 24 gennaio 1998, posso sbagliare l’anno, era un sabato mattina, quando venne il generale Mori a Firenze. Non ci fu verso, lo confermano i verbali, di approfondire la questione della cattura di Riina, era un argomento, secondo la Corte, da non trattare. Questo mi ha sempre deluso come avvocato, per me era chiaramente importante poter verificare se il mio cliente fosse stato catturato a seguito di un accordo tra due parti, che non posso identificare, ma comunque un accordo, ciò significa che quell’associazione che si presume lui abbia diretto in qualche maniera ad un certo punto non era più sotto la sua direzione.

Cosa pensa della teoria secondo cui vi sarebbe Provenzano dietro la cattura di Riina?

Lo escludo totalmente, questa è dietrologia disinformata.


Il 23 maggio ricorre l'anniversario della strage di Capaci dove morì Giovanni Falcone insieme alla moglie e alla scorta.
Vi riporto una piccola descrizione che vi invito a leggere...


Sono le 17,48 quando su una pista dell'aeroporto di Punta Raisi atterra un jet del Sisde, un aereo dei servizi segreti partito dall'aeroporto romano di Ciampino alle ore 16,40. Sopra c'è Giovanni Falcone con sua moglie Francesca. E sulla pista ci sono tre auto che lo aspettano. Una Croma marrone, una Croma bianca, una Croma azzurra. E' la sua scorta, erano stati raggruppati dal capo della mobile Arnaldo La Barbera.
Una squadra affiatatissima che aveva il compito di sorvegliare Falcone dopo il fallito attentato del 1989 davanti la villa del magistrato sul litorale dell'Addaura. La solita scorta con Antonio, Antonio Montinaro, agente scelto della squadra mobile che, appena vede il ">
Tutto è a posto, non c'è bisogno di sirene, alle 17,50 il corteo blindato che trasporta il direttore generale degli Affari penali del ministero di Grazia e giustizia è sull'autostrada che va verso Palermo.
Tutto sembra tranquillo, ma così non è. Qualcuno sa che Falcone è appena sbarcato in Sicilia, qualcuno lo segue, qualcuno sa che dopo otto minuti la sua Croma passerà sopra quel pezzo di autostrada vicino alle cementerie.
La Croma marrone è davanti. Guida Vito Schifani, accanto c'è Antonio, dietro Rocco Di Cillo. E corre, la Croma marrone corre seguita da altre due Croma, quella bianca e quella azzurra. Sulla prima c'è il giudice che guida, accanto c'è Francesca Morvillo, sua moglie, anche lei magistrato. Dietro l'autista giudiziario, Giuseppe Costanza, dal 1984 con Falcone, che era solito guidare soltanto quando viaggiava insieme alla moglie. E altri tre sulla Croma azzurra, Paolo Capuzzo, Gaspare Cervello e Angelo Corbo. Un minuto, due minuti, la campagna siciliana, l'autostrada, l'aeroporto che si allontana, quattro minuti, cinque minuti.
Ore 17,59, autostrada Trapani-Palermo. Investita dall'esplosione la Croma marrone non c'è più. La Croma bianca è seriamente danneggiata, si salverà Giuseppe Costanza che sedeva sui sedili posteriori. La terza, quella azzurra, è un ammasso di ferri vecchi, ma dentro i tre agenti sono vivi, feriti ma vivi. Feriti come altri venti uomini e donne che erano dentro le auto che passavano in quel momento fra lo svincolo di Capaci e Isola delle Femmine.
Fu Buscetta a dirglielo: "L'avverto, signor giudice. Dopo quest'interrogatorio lei diventerà forse una celebrità, ma la sua vita sarà segnata. Cercheranno di distruggerla fisicamente e professionalmente. Non dimentichi che il conto con Cosa Nostra non si chiuderà mai. E' sempre del parere di interrogarmi?".
Giovanni Falcone, "Cose di Cosa Nostra" (Rizzoli, 1991):

"Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande".

Ogni anno, il 23 maggio, si tiene a Palermo e Capaci una lunga serie di attività, in commemorazione della morte del magistrato Giovanni Falcone e di Francesca Morvillo

E' il risparmio il nuovo petrolio



CINA E INDIA DOMINERANNO LA DOMANDA. L’EUROPA DOVRA’ TAGLIARE, MA POTREBBE ESSERE LA VIA DI UN NUOVO SVILUPPO


Le risorse non bastano per tutti: in Occidente l’ora delle scelte impopolari

CARLO BASTASIN


Tra le grandi strategie globali dell'energia e gli accumuli di rifiuti sulle strade napoletane c'è almeno una comune lezione: decisioni politiche e comportamenti individuali sono gli uni necessari agli altri, senza di essi le crisi possono scoppiare incontrollabili. Anche i problemi di sostenibilità dei consumi energetici della popolazione mondiale richiedono di modificare i comportamenti dei singoli individui e di sviluppare un senso di solidarietà. Il collasso napoletano dimostra quanto possa essere difficile ottenere lo scambio solidale dei doveri perfino al livello di una città di medie dimensioni nel cuore dell'Occidente sviluppato. La sfida globale dell'energia estende la sfida agli interessi divergenti e alle diverse culture di miliardi di individui, molti dei quali appena emersi da condizioni di bisogno. Governare la politica energetica sarà dunque una sfida politica enorme. Potrà almeno essere un processo graduale? Non è detto. Come dimostra la vicenda dei rifiuti, comportamenti egoistici in un contesto non governato dai pubblici poteri possono produrre collassi istantanei anziché lente malattie.L'Indice di sviluppo umano, calcolato dall’Onu, stima che le popolazioni che escono da condizioni di povertà utilizzino energia per un volume annuo pro capite superiore a due «tonnellate equivalenti petrolio». In Europa il consumo è più che doppio. Se la popolazione mondiale dovesse convergere verso i modelli di consumo occidentali, l'offerta di energia non sarebbe sufficiente a soddisfare la richiesta di miliardi di individui. La crisi economica sarebbe automatica e i rapporti di potere tra Stati produttori e importatori potrebbero degenerare.La domanda globale di energia è comunque destinata ad aumentare in 20 anni. Nel 2020 l'85% della domanda di energia verrà dai Paesi di recente sviluppo e un terzo della domanda globale farà capo alla sola Cina. L'impiego di energia di Cina e Medio Oriente determinerà la domanda, più di quanto possano influenzarla i Paesi già sviluppati che spostano le produzioni dal manifatturiero verso i servizi. Per governare l'aggiustamento della domanda e dell'offerta di energia, l'Occidente dovrà essere credibile, rispettando gli interessi dei nuovi Paesi sviluppati e al tempo stesso difendendo lo sviluppo sostenibile.Ma attualmente anche nei Paesi dell'Occidente la risposta politica alla formidabile sfida energetica è principalmente quella di adeguare l'offerta di energia ai crescenti desideri dei cittadini. Per farlo si studiano nuove fonti energetiche e sviluppi di quelle esistenti. Ogni governo preferisce soddisfare le richieste degli elettori anziché chiedere sacrifici, ma le conseguenze sull'ambiente, sul clima e sui rapporti con gli altri Paesi di una tale scelta sono pericolose. Aumentare l'offerta di energia, anziché ridurne la domanda, è una scelta rischiosa perfino dal punto di vista economico. Secondo l'«International Energy Agency», un euro speso per rendere più efficiente l'utilizzo attuale dell'energia, ne farebbe risparmiare due in investimenti di incremento dell'offerta. La dimensione politica della limitazione della domanda di energia rappresenterebbe inoltre un test decisivo di governance globale in grado di sviluppare un senso di attiva solidarietà dei cittadini del pianeta. Il risparmio esemplare nelle società sviluppate ne sarebbe un atto fondante. Nel marzo del 2007 i capi di Stato dell'Ue si sono imposti di ridurre entro il 2020 le emissioni nocive del 20% e di aumentare di altrettanto l'energia prodotta dalle fonti rinnovabili. Il 23 gennaio scorso all'impegno è seguito un pacchetto di proposte legislative della Commissione. Nel vertice di Bruxelles del 14 marzo si è pianificato l'assorbimento nelle leggi nazionali entro l'inizio del 2009, in modo da poter convocare un vertice a fine 2009 a Copenaghen per mettere a fuoco la posizione europea da proporre al posto del Protocollo di Kyoto.L'adeguamento dell'offerta, cioè la sostituzione delle forme di produzione attuali di energia, è così complesso da rendere dubbi gli obiettivi posti dall’Europa. Il processo di sostituzione delle fonti energetiche richiede tempi molto più lunghi di quanto non si immagini. I costi di avviamento dei nuovi processi produttivi sono spesso altissimi, mentre l'ammortamento dei vecchi impianti richiede decenni, perché la sostituzione al margine sia conveniente. Per i ritardi con cui si è proceduto negli anni passati, gli obiettivi vengono giudicati da numerosi esperti irrealistici e, in alcuni casi, addirittura controproducenti. In ogni caso l'impegno politico necessario a raggiungere gli obiettivi sarebbe straordinario. Infatti Paesi come Germania e Gran Bretagna hanno fatto della politica energetica un capitolo primario dei programmi di governo. La Germania si è posta l'obiettivo di ridurre le emissioni del 40% entro il 2020. La Gran Bretagna prevede un taglio del 60% entro il 2050. In tale senso di emergenza prende profilo la scelta del nucleare a cui sono attribuite condizioni di sicurezza non paragonabili a quelle del passato. Parigi e Londra hanno siglato un accordo per la produzione di centrali nucleari da vendere in tutto il mondo. L'Europa da area dipendente dalle fonti energetiche diverrebbe così fornitrice di infrastrutture energetiche, tagliando l'ambiguo cordone che la lega a Mosca ed Algeri. La nuova assertività europea è rafforzata politicamente dall'impegno alla tutela dell'ambiente globale che può mobilitare consensi nel pianeta.Si tratta di sfide gigantesche, all'interno delle quali va misurata la situazione italiana. Nel Dpef il governo stima in circa 13 miliardi le sole penalità finanziarie che lo Stato deve pagare per i ritardi di applicazione degli accordi di Kyoto. Anziché avvicinare la riduzione del 6,5% delle nostre emissioni, ce ne siamo allontanati aumentandole di oltre il 15%. Le politiche di approvvigionamento sono conservative e quelle ambientali soggette all'indisponibilità di risorse finanziarie. La dipendenza dall'estero è totale. Sullo sfondo delle sfide energetiche si staglia la fotografia delle strade di Napoli e l'incapacità di realizzare il primo passo del risparmio delle risorse, il riciclaggio. Come le crisi dei rifiuti, anche le emergenze energetiche scoppiano improvvise, ma maturano lungo decine di anni. I processi di soluzione richiedono anch'essi orizzonti decennali. Ma proprio perché tanto ritardate negli effetti, le decisioni dovrebbero essere prese senza perdite di tempo.

mercoledì 14 maggio 2008

Appello sul caso Schifani

Io non ci sto.

Nei paesi democratici il ruolo dei giornalisti è proprio quello di osservare, verificare e poi raccontare.Si chiama "diritto di cronaca".E' uno dei diritti fondamentali su cui si fonda la democrazia.Si racconta se il politico tradisce la moglie, se in gioventù si faceva qualche spinello, se è stato in un centro di riabilitazione per etilisti, se ha truccato le carte per non andare in guerra.Per alcuni elettori queste informazioni sono importanti.C'è chi non ama essere rappresentato da un donnaiolo, e chi non vuole essere rappresentato da un pavido.È un loro diritto: ognuno deve poter scegliere da chi farsi rappresentare in base ai propri valori e avendone tutte le informazioni necessarie.Ai politici, in tutto il mondo libero, questo non piace, ma accettano.Sono le regole del gioco democratico, le uniche inventate finora, di meglio per ora non abbiamo.E queste regole hanno costretto alla dimissione presidenti degli Stati Uniti e ministri di vari governi.Tocca al giudice appurare se il giornalista dice il falso.Ora la domanda di attualità è: il giornalista Marco Travaglio ha raccontato un fatto vero che riguarda Renato Schifani o un fatto falso?Schifani & Co, l'opposizione & Co e anche gli organismi "DI CONTROLLO" della Rai possono indignarsi quanto vogliono, ma l'unico strumento democratico che ha Schifani è ricorrere al giudice, incaricato in democrazia di valutare se Travaglio ha detto il vero o il falso.Tutte le altre prese di posizione mirano solo a limitare la democrazia e la libertà di critica della stampa.
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“Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole si sappia, il resto è propaganda” (Horacio Verbitsky)

mercoledì 7 maggio 2008

Diario di un magistrato e della scomparsa della sua agenda


di Flaviano Masella e Maurizio Torrealta


Il colonnello Giovanni Arcangioli è stato prosciolto nell'udienza preliminare dall'accusa di concorso aggravato per favoreggiamento alla mafia. Tra i misteri che avvolgono la strage di via D'Amelio del 19 luglio 1992 rimane ancora senza chiarimenti la scomparsa dell'agenda di Paolo Borsellino, il diario che raccoglieva gli appunti e le annotazioni del magistrato. L’INCHIESTA torna ad occuparsi della strage con immagini inedite e la ricostruzione delle indagini della Procura di Caltanissetta che parte da una foto che mostra un uomo che cammina tra le macerie trasportando la borsa di cuoio di Paolo Borsellino. Si tratta Giovanni Arcangioli, nel '92 capitano dei carabinieri, oggi tenente colonnello, indagato per la scomparsa dell’agenda rossa di Borsellino. L'inchiesta di Rainews24 cerca di fare chiarezza sui fatti che portarono alla scomparsa di quel documento, sulle informazioni in esso contenute, e su chi potesse avere a cuore il suo trafugamento.Molte delle spiegazioni potrebbero trovarsi nelle confidenze fatte a Paolo Borsellino, alla vigilia del suo omicidio, dal pentito Gaspare Mutolo, che, nella ricostruzione di Gioacchino Genchi, funzionario di polizia e consulente dell'autorità giudiziaria, avrebbero portato alla luce importanti collusioni: "Io ritengo che è proprio in questa fase che si è innescato il pericolo e la preoccupazione di qualcuno che il lavoro di Borsellino portasse a risultati che potevano essere micidiali non solo per cosa nostra ma per chi con cosa nostra a Palermo aveva convissuto per tanti anni. Ed è lì che si innesta il progetto stragista".Una seconda ipotesi è quella della cosìddetta “trattativa”, l'accordo tra mafia e il Raggruppamento Operativo dei Carabinieri, a cui Borsellino si sarebbe opposto, come racconta Giuseppe Lo Bianco, capo servizio Ansa: "L'ipotesi che Borsellino potesse essersi opposto in qualche modo alla trattativa tra mafia e Stato è una delle ipotesi che è stata fatta propria dalla sentenza di uno dei tanti processi che si sono celebrati a Caltanissetta".La morte di Paolo Borsellino è una vicenda ancora avvolta dal mistero che vede coinvolti malavita organizzata e parti delle istituzioni. Renato Di Natale, procuratore aggiunto di Caltanissetta, riferisce: "Noi abbiamo sempre degli stralci aperti su queste vicende, uno per esempio sulla presenza dei servizi segreti sui luoghi della strage, non soltanto indirizzata alla borsa o al contenuto della borsa ma a tutta la vicenda, perché c'è un filone che riguarda i così detti mandanti occulti delle stragi."

sabato 3 maggio 2008

Scusate il disturbo

Marco Travaglio



Chiedendo scusa per il disturbo, senza voler guastare questo bel clima di riverenze bipartisan al neopresidente del Senato Renato Schifani, vorremmo allineare qualche nota biografica del noto statista palermitano che ora troneggia là dove sedettero De Nicola, Paratore, Merzagora, Fanfani, Malagodi e Spadolini. Il quale non è omonimo di colui che insultò Rita Borsellino e Maria Falcone («fanno uso politico del loro cognome», sic) perché erano insorte quando Berlusconi definì i magistrati «disturbati mentali, antropologicamente estranei al resto della razza umana»: è proprio lui.
Non è omonimo dell’autore del lodo incostituzionale che nel 2003 regalò l’impunità alle 5 alte cariche dello Stato, soprattutto a una, cioè a Berlusconi, e aggredì verbalmente Scalfaro in Senato perché osava dissentire: è sempre lui. La sua elezione è stata salutata da un’ovazione destra-sinistra. Molto apprezzati l’elogio a Falcone e Borsellino e la sua dichiarazione di guerra alla mafia. Certo, se uno evitasse di mettersi in affari con gente di mafia, la lotta alla mafia riuscirebbe meglio. Già, perché - come raccontano Abbate e Gomez ne «I complici» (ed.Fazi) - trent’anni prima di sedere sul più alto scranno del Parlamento, Schifani sedeva nella Sicula Brokers, società di brokeraggio fondata col fior fiore di Cosa Nostra e dintorni. Cinque i soci: oltre a Schifani, l’avvocato Nino Mandalà (futuro boss di Villabate, fedelissimo di Provenzano); Benny D’Agostino (costruttore amico del boss Michele Greco, re degli appalti mafiosi, poi condannato per concorso esterno); Giuseppe Lombardo (amministratore delle società dei cugini Nino e Ignazio Salvo, esattori mafiosi e andreottiani di Salemi arrestati da Falcone e Borsellino nel 1984). Completa il quadro Enrico La Loggia, futuro ministro forzista. Nei primi anni 80, Schifani e La Loggia sono ospiti d’onore al matrimonio del boss Mandalà. All’epoca, sono tutti e tre nella Dc. Poi, nel 1994, Mandalà fonda uno dei primi club azzurri a Palermo, seguito a ruota da Schifani e La Loggia. Il boss, a Villabate, fa il bello e il cattivo tempo. Il sindaco Giuseppe Navetta è suo parente: infatti, su richiesta di La Loggia, Schifani diventa «consulente urbanistico» del Comune perché ­ dirà La Loggia ai pm antimafia ­ aveva «perso molto tempo» col partito e aveva «avuto dei mancati guadagni». Il pentito Francesco Campanella, braccio destro di Mandalà e Provenzano, all’epoca presidente del consiglio comunale di Villabate in quota Udeur, aggiunge: «Le 4 varianti al piano regolatore… furono tutte concordate con Schifani». Che «interloquiva anche con Mandalà. Poi si fece il piano regolatore generale… grandi appetiti dalla famiglia mafiosa di Villabate. Mandalà organizzò tutto in prima persona. Mi disse che aveva fatto una riunione con Schifani e La Loggia e aveva trovato un accordo: i due segnalavano il progettista del Prg, incassando anche un parcella di un certo rilievo. L’accordo che Mandalà aveva definito coi suoi amici Schifani e La Loggia era di manipolare il Prg, affinché tutte le sue istanze ­ variare i terreni dove c’erano gli affari in corso e penalizzare quelli della famiglia mafiosa avversaria ­ fossero prese in considerazione dal progettista e da Schifani… Il che avvenne: cominciò la stesura del Prg e io partecipai a tutte le riunioni con Schifani» e «a quelle della famiglia mafiosa, in cui Schifani non c’era». Domanda del pm: «Schifani era al corrente degli interessi di Mandalà nell’urbanistica di Villabate?». Campanella: «Assolutamente sì. Mandalà mi disse che aveva fatto questa riunione con La Loggia e Schifani». Il tutto avveniva «dopo l’arresto di Mandalà Nicola», cioè del figlio di Nino, per mafia. Mandalà padre si allontana da FI per un po’, poi rientra alla grande, membro del direttivo provinciale. E incontra Schifani e La Loggia. Lo dice Campanella, contro cui i due forzisti hanno annunciato querela; ma la cosa risulta anche da intercettazioni. Nulla di penalmente rivelante, secondo la Dda di Palermo. Nel ‘98 però anche Mandalà padre finisce dentro: verrà condannato in primo grado a 8 anni per mafia e a 4 per intestazione fittizia di beni. E nel ‘99 il Prg salta perché il Comune viene sciolto per infiltrazioni mafiose nella giunta che ha nominato consulente Schifani. Miccichè insorge: «È una vergognosa pulizia etnica». Ma ormai Schifani è in Senato dal 1996. Prima capogruppo forzista, ora addirittura presidente. Applausi. Viva il dialogo. Viva l’antimafia.

Ora d'ariaL'Unità, 1 maggio 2008

venerdì 2 maggio 2008

Chi è il neo presidente del Senato?Per la stampa


Il Palermo e il Cavaliere, le due passioni di Schifani

ROMAPalermitano, 58 anni, da tre legislature in Parlamento, sempre a palazzo Madama, Renato Schifani � il nuovo presidente del Senato, il diciottesimo della storia repubblicana. Avvocato, con un passato politico da iscritto alla Democrazia cristiana, Schifani � stato eletto senatore nel 1996, nel 2001 e nel 2006 sempre in Sicilia e sempre nelle file del centrodestra, con Forza italia, e nelle ultime elezioni con il Pdl. Ha ricoperto il ruolo di capogruppo azzurro a palazzo Madama per due legislature, dal 2001 al 2008.Maturit� scientifica �con pagella d�oro� nel 1968, ha raccontato in una intervista di qualche anno fa a Claudio Sabelli Fioretti. Proprio negli anni della contestazione giovanile: �anch�io -ha detto il neo presidente del Senato nella stessa intervista- ero un sessantottino. Partecipai all�occupazione del mio liceo, lo scientifico Cannizzaro. Non sono mai sceso in piazza, stavo un passo indietro, guardavo, non condividevo quei toni accesi. Ma ritenevo giuste le rivendicazioni�. Quali? �C�era stato il terremoto. Chiedevamo che gli esami di maturit� fossero pi� facili�.In quegli anni la politica entra prepotentemente nelle scuole: �anch�io -ha proseguito Schifani nel suo racconto- ne subii il fascino. Massimo Ganci, il mio professore di filosofia, ci entusiasmava con le sue lezioni su Marx. Il marxismo, visto in maniera asettica e teorica, mi affascin� e mi coinvolse. Sembrava una teoria perfetta�. Ma l�avvicinamento alle teorie care alla sinistra dura lo spazio d�un mattino: �fui sfiorato, solo sfiorato�, ha precisato Schifani. Da ragazzo immagina di diventare medico, ma poi sceglie giurisprudenza. La sua � una famiglia normale, i genitori sono una coppia di impiegati, cos�, mentre frequenta l�universit�, impartisce lezioni private di matematica, �e mi consentii il lusso di una 500 L, a rate, senza acconto, 25 mila lire al mes�, racconta. Laurea con 110 e lode e concorso (vinto) al Banco di Sicilia. Nell�istituto di credito siciliano per� ci � restato solo due anni, poi � diventato avvocato. In casa Schifani si � sempre votato per la Dc e il neo presidente del Senato non ha fatto eccezione.Dopo la "fiammata" sessantottina, la politica esce dalla vita di Schifani. Alla politica il futuro presidente del Senato guarda con distacco, anche quando, da avvocato, entra nello studio di Giuseppe La Loggia, democristiano, �uomo di grandissimo carisma, che sprizzava felicit� quando prendeva la penna per scrivere un parere. L�ermeneutica ce l�aveva nel sangue. � stato il mio padre putativo professionale�, dice Schifani. La scintilla che fa scattare l�impegno politico diretto scocca con il referendum del 1993 che abolisce il voto proporzionale. L�anno successivo nascono i club di Forza italia e Schifani conosce Gianfranco Miccich�, "anima" forzista in Sicilia. Due anni dopo Schifani viene eletto in Parlamento e rimane "fedele" a Palazzo Madama, dove oggi siede nello scranno pi� alto. Con Gianfranco Fini ha in comune la passione per la pesca subacquea. Ma se si parla di calcio, allora le strade si dividono: mentre il presidente dell�assemblea di Montecitorio ha il cuore rossoblu, i colori del Bologna, quello di Schifani batte per le sorti dei rosanero del Palermo, la sua citt� natale. Spesso lo si vede in tribuna, al Renzo Barbera, insieme alla moglie Franca. E chiss�, ora, cosa penser� della cessione del bomber brasiliano Amauri, idolo dei tifosi, alla Juventus.Nel 2002 Schifani � tra i protagonisti del confronto parlamentare per la trasformazione del 41 bis, il carcere duro per i mafiosi, da istituto straordinario e provvisorio in misura definitiva. Profondo conoscitore dei regolamenti parlamentari, Schifani ha spesso condotto le sue battaglie dialettiche in aula con gli avversari politici a colpi di articoli, commi e norme di legge. I suoi modi sono cortesi, ma quando si tratta di combattere, politicamente s�intende, il flemmatico Schifani si trasforma in un "cane da polpacci", come ebbe a dire qualche tempo fa il Cavaliere.Quando qualcuno lo ha definito un adulatore di Berlusconi, Schifani ha risposto cos�, qualche anno fa, in una intervista, quando ancora il Pdl non era all�orizzonte: �non mi sento adulatore di nessuno. Mi sento difensore di una linea politica. Difendere Berlusconi vuol dire difendere il messaggio di Forza Italia, difendere la democrazia�.

Chi è Renato Schifani? Per ME




quello del lodo Schifani, legge che sospese temporaneamente i processi in corso contro le più alte cariche dello Stato (utilizzata dallo stesso Berlusconi), dichiarata inconstituzionale.



quello che nel 1979 fondò la “Sicula Brokers“, con gente come Benny D’Agostino, Giuseppe Lombardo e Nino Mandalà.
quello che nel 1992 costituì una società di “recupero crediti” con Antonio Mengano e Antonino Garofalo.



quello che difese l’impresa Lo Sicco davanti al Tar, impresa che costruì un palazzo abusivo di undici piani in una delle zone più pregiate di Palermo. Oggi il palazzo costruito da Lo Sicco è confiscato dallo Stato ed il costruttore è stato condannato a 2 anni e otto mesi per truffa e corruzione a cui si sono aggiunti sette anni per mafia.



quello che in un articolo intitolato “Cavour e il conflitto di interessi” affermò che anche lo statista piemontese era “in potenziale conflitto di interessi” perché aveva un giornale, partecipazioni bancarie, proprietà terriere e un’intensa attività affaristica dimenticandosi di aggiungere che, divenuto ministro, Cavour “decise in primo luogo di liquidare gli affari nei quali era stato attivo fino ad allora”.



quello che attaccò in maniera assai poco elegante Maria Falcone e Rita Borsellino, accusandole di “avere offeso la memoria dei loro eroici fratelli”.




Il senatore di Forza Italia Renato Schifani, mesi fa: "Totò Cuffaro, nel caso in cui venisse condannato, non sarà obbligato a dimettersi. Nel 2000 il governo regionale di centro sinistra votò una legge dove erano elencati tutti i reati che provocano la decadenza del parlamentare. I presunti reati per i quali è accusato Cuffaro non sono menzionati. Forza Italia è un partito garantista. Poi, che senso avrebbe se Cuffaro venisse condannato in primo grado e poi assolto in appello? Andremmo inutilmente alle urne?"



L'individuo che sta parlando da capomafia non è un capomafia, ma un avvocato. Capogruppo dei senatori di Forza Italia. Costui è stato socio di affari (leciti) con presunti usurai e mafiosi. Giustificazione? La solita: non sapevo fossero mafiosi. Adesso non sarete più stupiti sulle dichiarazione riguardanti Cuffaro. Forza Italia non è un partito garantista. È un partito senza il minimo scrupolo, pronto a tentare di modificare il regime di carcere duro e la legge sulla confisca dei beni mafiosi (presentata proprio da Don Renato) per non perdere i voti della mafia, che, ormai appurato, fu artefice almeno della successo del 1994. Ma già che ci siamo, sarebbe un peccato non approfondire il discorso su Don Renato.
La fonte è l'Espresso, Agosto 2002
Nel 1992 Schifani con Antonio Mengano e Antonino Garofalo sono soci in una società: la Gms. Nel 1997 l'avvocato Antonino Garofalo è stato arrestato nel 1997 e poi rinviato a giudizio per usura ed estorsione.
Nel 1979 viene istituita la Sicula Brokers. Tra i soci fondatori, accanto a un'assicurazione del nord, c'erano Renato Schifani e il ministro degli Affari regionali Enrico La Loggia, nonché soggetti come Benny D'Agostino, Giuseppe Lombardo e Nino Mandalà. Nomi che a Palermo indicano quella zona grigia in cui impresa, politica e mafia si confondono. Benny D'agostino è un imprenditore condannato per concorso esterno in associazione mafiosa e, negli anni in cui era socio di Schifani e La Loggia, frequentava il gotha di Cosa Nostra. Lo ha ammesso lui stesso al processo Andreotti quando ha raccontato un viaggio memorabile sulla sua Ferrari da Napoli a Roma assieme a Michele Greco, il papa della mafia. Giuseppe Lombardo invece è stato amministratore delle società dei cugini Ignazio e Nino Salvo, i famosi esattori di Cosa Nostra arrestati da Falcone nel lontano 1984 e condannati in qualità di capimafia della famiglia di Salemi. Nino Mandalà, infine, è stato arrestato nel 1998 ed è attualmente sotto processo per mafia a Palermo. Questo ex socio di Schifani e La Loggia era il presidente del circolo di Forza Italia di Villabate, un paese vicino a Palermo e proprio di politica parlava nel 1998 con il suo amico Simone Castello, colonnello del boss Bernardo Provenzano mentre a sua insaputa i carabinieri lo intercettavano. Mandalà riferiva a Castello l'esito di un burrascoso incontro con il ministro Enrico La Loggia, allora capo dei senatori di Forza Italia. Mandalà era infuriato per non avere ricevuto una telefonata di solidarietà dopo l'arresto del figlio (poi scagionato per un omicidio di mafia). E così raccontava di avere chiuso il suo colloquio con La Loggia: «Siccome io sono mafioso ed è mafioso anche tuo padre che io me lo ricordo quando con lui andavo a cercargli i voti da Turiddu Malta che era il capomafia di Vallelunga. Lo posso sempre dire che tuo padre era mafioso. A quel punto lui si è messo a piangere». La Loggia ha ammesso l'incontro ma ne ha raccontato una versione ben diversa. E anche Mandalà al processo ha parlato di millanteria. Nella stessa conversazione intercettata Mandalà parlava di Schifani in questi termini: «Era esperto a 54 milioni all'anno, qua al comune di Villabate, che me lo ha mandato il senatore La Loggia».
Schifani è stato sentito dalla Procura e, senza falsa modestia ha spiegato con la sua bravura la consulenza e lo stipendio: «Il mio studio è uno dei più accreditati in campo urbanistico in Sicilia». Ma per La Loggia sotto sotto c'era una raccomandazione: «Parlai di Schifani con Gianfranco Micciché (coordinatore di Forza Italia in Sicilia) e dissi: sta sprecando un sacco di tempo e quindi avrà dei mancati guadagni facendo politica. Vivendo lui della professione di avvocato dico se fosse possibile fargli trovare una consulenza. È un modo per dirgli grazie. E allora parlammo con il sindaco Navetta». Il sindaco Navetta è il nipote di Mandalà e il suo comune è stato sciolto per mafia nel 1998.
Il capogruppo di Forza Italia è stato sfortunato anche nella scelta dei suoi assistiti. Proprio un suo ex cliente recentemente ne ha fatto il nome in tribunale. La scena è questa: Innocenzo Lo Sicco, un mafioso pentito, il 26 gennaio del 2000 entra in manette in aula a Palermo e viene interrogato sulla vicenda di un palazzo molto noto in città, quello di Piazza Leoni. Le sue parole fanno balenare pesanti sospetti: «L'avvocato Schifani ebbe a dire a me, suo cliente, che aveva fatto tantissimo ed era riuscito a salvare il palazzo di Piazza Leoni facendolo entrare in sanatoria durante il governo Berlusconi perché, così mi disse, fecero una sanatoria e lui era riuscito a farla pennellare sull'esigenza di quegli edifici. Era soddisfattissimo. Perché lo diceva a me? Ma perché io lo avevo messo a conoscenza di qual era la situazione, l'iter, le modalità del rilascio della concessione...».
La Procura dopo aver analizzato le parole del pentito non ha aperto alcun fascicolo per la genericità del racconto. Comunque la storia di questo palazzo, scoperta dal giornalista de "la Repubblica" Enrico Bellavia, è tutta da raccontare. Comincia alla fine degli anni Ottanta quando Pietro Lo Sicco, imprenditore finanziato dalla mafia e zio di Innocenzo, mette gli occhi su un terreno a due passi dal parco della Favorita, una delle zone più pregiate di Palermo. Lo Sicco vuole costruirci un palazzo di undici piani ma prima bisogna eliminare due casette basse che appartengono a due sorelle sarde, Savina e Maria Rosa Pilliu, che non vogliono svendere. Pietro Lo Sicco le minaccia e le sorelle si rivolgono alla polizia. Ma la mafia è più lesta della legge: Lo Sicco ottiene la concessione edilizia grazie a una mazzetta di 25 milioni di lire e comincia ad abbattere l'appartamento a fianco. Quando le sorelle vedono avvicinarsi il bulldozer cominciano ad arrivare nel loro negozio i fusti di cemento. Il messaggio è chiaro: finirete lì dentro. Lo Sicco smentisce di essere il mandante ma la Procura offre alle Pilliu il programma di protezione. Oggi le sorelle sono un simbolo dell'antimafia: vivono proprio nel palazzo costruito da Lo Sicco e confiscato dallo Stato. Il costruttore è stato condannato a 2 anni e otto mesi per truffa e corruzione a cui si sono aggiunti sette anni per mafia.
All'inaugurazione del nuovo negozio costruito grazie al fondo antiracket, il senatore Schifani non c'era. Era dall'altra parte in questa vicenda. Il suo studio ha difeso l'impresa Lo Sicco davanti al Tar. Il pentito Innocenzo Lo Sicco, ha raccontato che lui stesso accompagnava l'avvocato Schifani negli uffici per seguire la pratica. Certo all'epoca l'imprenditore non era stato inquisito e il senatore non poteva sapere con chi aveva a che fare anche se il genero di Lo Sicco era sparito nel 1991 per lupara bianca. In quegli stessi anni Schifani assisteva anche altri imprenditori che sono incappati nelle confische per mafia, come Domenico Federico, prestanome di Giovanni Bontate, fratello del vecchio capo della cupola Stefano. Un settore quello delle confische che il senatore non ha dimenticato in Parlamento. Quando ha presentato un progetto di legge (il numero 600) per modificare la legge sulle confische e sui sequestri.
Forse Forza Italia è un partito garantista, ma dei mafiosi e dei loro interessi.