martedì 22 luglio 2008

Dibattito, mostra e teatro per ricordare Borsellino

Edizione del 22 luglio 2008, oggi in edicola:



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In scena il monologo di Nando Dalla Chiesa Alla Salara il lavoro dei Ragazzi della Locride
Si conclude venerdì con tre iniziative antimafia il ciclo d’incontri dedicati alle Vie della Legalità. Il forfait di Santoro
Dibattito, mostra e teatro per ricordare Borsellino


JESI – Le “Vie della Legalità” ci conducono alle parole di Paolo Borsellino, al suo discorso pubblico ai cittadini siciliani quel 23 giugno del 1992 a un mese esatto dalla morte di Giovanni Falcone e a poco meno di un mese dalla sua uccisione. Il magistrato parlava de “la bellezza del fresco profumo di libertà che fa rifiutare il puzzo del compromesso morale”. Per onorarne la memoria nell’anniversario dell’attentato di via D’Amelio (19 luglio 1992), l’assessorato alla Cultura in collaborazione con Matteo Secchi ha promosso una giornata di manifestazioni, spettacoli e riflessione popolare. Per non dimenticare. Si chiama “Il Profumo della legalità” e chiude il ciclo di incontri dedicati alle Vie della Legalità. L’appuntamento è per venerdì in piazza della Repubblica e alla Salara di Palazzo della Signoria. Non ci sarà Michele Santoro, come annunciato, per problemi di lavoro. Mancherà anche Lirio Abbate, lui per problemi di scorta. “Per ricordare Paolo Borsellino ma anche tutte le vittime della mafia - spiega l’assessore Valentina Conti - abbiamo articolato vari momenti: una mostra alla Salara de “I Ragazzi della Locride” (ore 18), poi il dibattito dal titolo “L’informazione come strumento di lotta alla mafia” (ore 18.15 alla Salara) e la rappresentazione del monologo teatrale scritto da Nando Dalla Chiesa “Poliziotta per amore” (piazza della Repubblica, ore 21) in memoria di Emanuela Loy, uccisa mentre scortava Paolo Borsellino. Alle 21.45 seguirà l’incontro “Chi ha paura muore ogni giorno” con Giuseppe Ayala (pubblico ministero, amico di Giovanni Falcone e dal 1992 deputato); Salvatore Borsellino (fratello del magistrato), Giuseppe Lumia (presidente della commissione parlamentare antimafia dal 2000 al 2001) e Rosario Crocetta (sindaco anti-mafia)”.

“Per un giorno - aggiunge Matteo Secchi - la nostra città diventerà capitale morale di una guerra alla violenza e alla sopraffazione mafiosa, che ancora incute timore. C’è una forma di criminalità organizzata ovunque. La Mafia è un fenomeno che nasce dalle persone, non è solo in Sicilia e Campania dove è storicamente conosciuta, ma dappertutto…”.
TALITA FREZZI,





domenica 20 luglio 2008

Un libro importante



Versione stampabile



E’ in edicola dal alcuni giorni un libro che consideriamo importante.

Si intitola “Il ritorno del Principe”, è edito da Chiarelettere ed è stato scritto da Roberto Scarpinato con Saverio Lodato.

Roberto Scarpinato è Procuratore Aggiunto della Repubblica a Palermo ed è una delle memorie storiche dell’antimafia palermitana.

A questo link una sua breve scheda biografica.

Il libro ci sembra importante, perché illustra in maniera documentata e convincente come il problema italiano non sia questo o quel Presidente del Consiglio, la “destra” o la “sinistra” (che costituiscono espedienti di “copertura”), ma un male sistemico che ha radici culturali e morali molto profonde e molto risalenti nel tempo.

L’analisi di Roberto è preziosa perché illumina scenari di cui la maggior parte di noi ignora puramente e semplicemente l’esistenza.

Ci permettiamo di consigliarvi la lettura di questo libro non per fargli “pubblicità”, ma perché esso può aiutarci a guardare le cose da un altro e più alto punto di vista, comprendendo che le misere e a volte miserabili beghe nelle quali ogni giorno ci impantanano i giornali al servizio del potere non sono il cuore del problema e servono solo a tenerci distratti.

Per chi non ha altra preoccupazione che collocare a “destra” o a “sinistra” ogni cosa della vita, ribadendo che a nostro parere questa distinzione è pretestuosa e inutile, assicuriamo che il libro di Roberto non è né di destra né di sinistra, perché si occupa di altro.

Per comprendere il taglio dell’analisi di Roberto Scarpinato e la sua profondità, suggeriamo di ascoltare il suo intervento alla presentazione di un libro di Marco Travaglio, a Roma, il 10 gennaio di quest’anno. Per farlo, bisogna andare a questo link e lì cliccare sul triangolino a sinistra del nome di Roberto Scarpinato. E’ un intervento di 41 minuti, ma vale davvero la pena di investirli ad ascoltarlo. In esso, fra l’altro, Roberto spiega come ci sia una insuperabile incompatibilità strutturale fra la classe dirigente italiana e una magistratura indipendente.

C’è in quell’intervento di Roberto la chiave di lettura incontrovertibile della guerra alla giustizia della quale va in scena in questi giorni l’ennesima battaglia.

Riportiamo qui sotto la “Premessa” al libro dell’autore.

A questo link l’indice del libro.

A questo link una rassegna stampa sul libro.


«Premessa

Ho trascorso gli ultimi vent’anni in un luogo che non ammette illusioni: nel bene e nel male qui la vita è nuda e si rivela per quella che è.

Per un po’ puoi provare a ignorarla, ma prima o poi ti costringe a guardarla in faccia.

Per tanti è come guardare il volto della Medusa: sei fortunato se il cuore non ti si impietrisce per sempre.

Per altri è perdere l’innocenza e assumere un altro sguardo su di sé e sul mondo.

Se, come diceva Pablo Neruda, «l’importante non è nascere ma rinascere», questo è un luogo nel quale hai buone probabilità di morire o di rinascere.

Qui pensare non è un lusso, ma una necessità per evitare che ciò che non hai compreso in tempo ti piombi addosso d’improvviso, come in un agguato, cogliendoti inerme.

Quando molti anni fa giunsi a Palermo, rimasi colpito nel constatare che Giovanni Falcone teneva acceso nella sua stanza il Televideo.

Talora, al comparire di una notizia apparentemente priva di qualsiasi connessione con il suo lavoro di giudice, si faceva pensoso. Era come se quell’evento – la quotazione in Borsa di una nuova società, la nomina di un ministro – andasse velocemente decodificato per comprenderne la cifra segreta e per calcolarne le possibili reazioni a catena nel quadro complessivo della realtà.

Capire come e dove il potere reale del Paese si stava spostando equivaleva a capire dov’era necessario a propria volta spostarsi per evitare di farsi prendere alle spalle o di mettere i piedi su un terreno minato.

Questa lezione nel tempo è entrata a far parte di me e mi ha segnato in modo particolare dopo l’assassinio di Falcone e di Paolo Borsellino.

A volte penso che il primo è morto perché per una volta la sua straordinaria intelligenza era stata scavalcata dal precipitare degli eventi.

Il secondo, messo sull’avviso dalla strage di Capaci, aveva avuto invece modo di prevedere con il pensiero quanto lo attendeva: aveva visto la morte avvicinarsi giorno dopo giorno come la vittima sacrificale di un Paese troppo vile e immaturo per sapere guardare dentro la propria realtà e proteggere così i suoi figli migliori, salvando se stesso.

Questo è un luogo serio: per motivi opposti vittime e carnefici sono infatti condannati a prendere la vita sul serio.

A tratti mi pare che questo Paese invece diventi sempre meno serio. Che invece di raccontarsi per quello che è veramente, continui a raccontarsi storie e favole mediocri, finendo per crederci e per smarrire così la propria identità.

«Noi siamo i nostri demoni» diceva Goethe. Penso che ciò valga non solo per gli individui, ma anche per i popoli.

In questo libro ho provato a descrivere i demoni del Paese.

Quelli che hanno insanguinato la sua lunga storia e quelli che predando le sue risorse lo stanno condannando a un lento declino.

Con loro ho avuto una lunga frequentazione.

A volte, quando taluno mi chiede che vita io faccia, sono solito rispondere che frequento assassini e complici di assassini.

In effetti il tempo trascorso a interrogarli nelle carceri, ad ascoltare le loro conversazioni intercettate, a riannodare i fili di tanti delitti, ha divorato tanta parte della mia vita.

All’inizio ero convinto di dovermi confrontare con una sorta di impero del male, con un mondo alieno da attraversare giusto il tempo necessario per poi ritornare nel mondo degli onesti, delle persone normali.

Poi lentamente la linea di confine ha preso a divenire sfumata, fino quasi a dissolversi.

Inseguendo le loro tracce, sempre più spesso mi accadeva di rendermi conto che il mondo degli assassini comunica attraverso mille porte girevoli con insospettabili salotti e con talune stanze ovattate del potere.

Ho dovuto prendere atto che non sempre avevano volti truci e stimmate popolari.

Anzi i peggiori tra loro avevano frequentato le nostre stesse scuole, potevi incontrarli nei migliori ambienti e talora potevi vederli in chiesa battendosi il petto accanto a quelli che avevano già condannato a morte.
Nel tempo ho compreso che quello degli assassini è spesso il fuori scena del mondo in cui tanti sepolcri imbiancati si mettono in scena.

Per tale motivo questo è un libro di storie «oscene» che nel loro intrecciarsi sui terreni della mafia, della corruzione e dello stragismo possono offrire una chiave per comprendere pagine importanti del passato e per decifrare il presente e il futuro ... o forse la mancanza di futuro del Paese.

Il declino dell’Italia, fino a qualche tempo fa esorcizzato come l’anatema di visionarie Cassandre, sembra infatti divenire ogni giorno di più un destino che attende solo di compiersi.

Mi è sembrato così che fosse venuto il tempo di condividere pubblicamente alcune riflessioni, maturate durante il «viaggio» nel mondo degli assassini, che mi inducono a ipotizzare una possibile concausa del declino in un’anomalia nazionale.

Mentre negli altri Paesi europei la criminalità non «fa storia», riguardando solo le fasce meno integrate e acculturate della società, in Italia la storia nazionale, quella con la S maiuscola, è inestricabilmente intrecciata con quella della criminalità di settori significativi della sua classe dirigente, tanto che in taluni tornanti essenziali non è dato comprendere l’evoluzione dell’una senza comprendere i nessi con la seconda.

Questa criminalità dei potenti si è declinata dall’Unità d’Italia a oggi su tre versanti: la corruzione sistemica, la mafia e lo stragismo per fini politici.

La questione criminale dunque in Italia è inscindibile da quelle dello Stato e della democrazia.

Nei periodi di trend economici positivi, i guasti prodotti dalla criminalità dei potenti vengono metabolizzati e riassorbiti.

Nei periodi, come quello attuale, segnati da un trend negativo, l’operare di tale criminalità comporta invece costi globali complessivi tanto onerosi da non essere sopportabili alla lunga dal Paese.

Nel primo capitolo vengono tracciate alcune coordinate generali della criminalità del potere italiana.

Nel secondo e nel terzo se ne illustrano le concrete dinamiche nei terreni della corruzione e della mafia.

Mi rendo conto che il paziente lettore, avvezzo da tempo a sentirsi raccontare storie rassicuranti a lieto fine di cui sono esclusivi protagonisti campioni assoluti del male ed eroi solitari, a volte potrà sentirsi raggelare il cuore di fronte a quella che in queste pagine si snoda invece come una terribile e inconclusa storia di famiglia che riguarda tutti.

Ma, come dicevo all’inizio, da troppo tempo ormai vivo in un luogo che non ammette, illusioni e non sono più bravo a raccontare favole.

Roberto Scarpinato»

sabato 19 luglio 2008

BORSELLINO: SCHIFANI, LA RUSSA E ALFANO LO COMMEMORANO IN VIA D'AMELIO

ASCA) - Palermo, 19 lug - Il presidente del Senato, Renato Schifani, il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, e il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, con la deposizione delle corone di fiori a Palermo in via d'Amelio hanno reso omaggio a Paolo Borsellino e ai poliziotti della sua scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina e Vincenzo Li Muli, uccisi dalla mafia 16 anni fa.

Per il presidente Schifani il miglior modo per ricordare Falcone, Borsellino e i caduti della mafia ''e' la risposta che la Sicilia sta dando in questi ultimi tempi. La ribellione degli imprenditori contro il racket del pizzo, le leggi che lo Stato, Governo e Parlamento si accingono ad approvare, contribuiscono ancora piu' efficacemente nel contrasto all'organizzazione mafiosa''.

Schifani, pero', ha sottolineato che ''bisogna ricordare che la mafia non e' ancora vinta, e quindi non bisogna abbassare il livello di guardia e di questo credo che le forze politiche ne siano consapevoli''.

Il ministro La Russa ha invece evidenziato che ''la nostra presenza a Palermo non e' solo un omaggio, ma anche un atto di rispetto. Ricordare Borsellino e' doveroso e serve a farci riflettere e a fortificare il nostro amore per la liberta''.

Per il guardasigilli Alfano ''oggi e' un giorno di dolore, ma anche di speranza'' ed ha ricordato che ''cinquantasette giorni fa, quando abbiamo commemorato Giovanni Falcone, il governo aveva approvato misure importanti per la sicurezza e di forze contrasto alla criminalita', oggi quelle misure sono state rafforzate dal Parlamento e sono diventate leggi dello Stato. Questo - conclude - e' un segnale di speranza e significa che lo Stato reagisce''.



Biografia [modifica]

Schifani, figlio di impiegati[1], si laureò in giurisprudenza con 110 e lode. Nel 1979, praticante legale nello studio del deputato Giuseppe La Loggia, fu inserito da quest'ultimo nella società di brokeraggio assicurativo Sicula Brokers, di cui facevano parte Enrico La Loggia, figlio di Giuseppe e futuro politico di spicco di Forza Italia, ed alcuni soci che negli anni 1990 furono incriminati per associazione mafiosa o concorso esterno in associazione mafiosa[2] [3]; Schifani lasciò la società nel 1980[4], riprendendo l'attività di avvocato. Nel 1992 fondò, assieme a due due soci tra cui Antonino Garofalo, rinviato a giudizio nel 1997 per usura ed estorsione, la società di recupero crediti GSM[3]; a causa di tale attività fu successivamente definito in una battuta del ministro della giustizia Filippo Mancuso il "principe del recupero crediti"[1].

Schifani, già iscritto alla Democrazia Cristiana, aderì a Forza Italia nel febbraio 1995 e, dopo un incarico da consigliere comunale a Palermo, fu eletto al Senato della Repubblica alle elezioni politiche italiane del 1996 nel collegio palermitano di Altofonte-Corleone, in rappresentanza della coalizione di centrodestra. Nella sua prima legislatura è stato capogruppo di Forza Italia nella commissione Affari costituzionali ed ha fatto parte della Commissione parlamentare per le riforme costituzionali, la cosiddetta "Bicamerale".

Intanto negli anni 1990 Schifani, già attivo come avvocato cassazionista, si affermò come avvocato urbanista, ricevendo numerosi incarichi in amministrazioni comunali siciliane[4]. In uno di questi fu consulente per l'urbanistica e il piano regolatore del comune di Villabate, il cui sindaco Giuseppe Navetta era il nipote di Nino Mandalà, capocosca della cittadina[5] ed ex socio di Schifani nella Sicula Brokers; secondo il pentito Francesco Campanella tale incarico fu concesso, tramite Enrico La Loggia, nell'ambito di un patto tra mafia e politica per la realizzazione di un megastore[6], progetto poi abortito a causa delle indagini[7].

Rieletto nelle elezioni del 2001, nel corso della XIV Legislatura Schifani è stato tra i fautori della stabilizzazione dell'articolo 41 bis, che ha reso definitivo il cosiddetto «carcere duro», previsto espressamente per i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso, istituto fino a quel momento di natura meramente provvisoria[8][9].

Porta il suo nome e quello del senatore Antonio Maccanico (l'Ulivo), il «lodo Maccanico-Schifani», una legge approvata il 20 giugno 2003, che sospendeva i processi in corso contro le «cinque più alte cariche dello Stato» oggetto di numerose polemiche perché sospendeva di fatto il processo SME per il presidente del Consiglio Berlusconi fintanto che questi fosse rimasto in carica. In seguito la legge fu dichiarata incostituzionale dalla Corte costituzionale il 13 gennaio 2004[10].

Schifani nelle elezioni politiche italiane del 2006 viene rieletto senatore per la terza volta, per Forza Italia, nella circoscrizione Sicilia e nel corso della XV Legislatura è stato membro della Commissione Territorio e Ambiente.

Stretta di mano con il Presidente della Repubblica Napolitano
Stretta di mano con il Presidente della Repubblica Napolitano

In qualità di capogruppo di Forza Italia nella XIV e XV Legislatura dal 2001 al 2008 Schifani è stato protagonista dei dibattiti parlamentari del Senato[11].

Alle elezioni politiche del 2008 è stato eletto per la quarta volta, sempre in Sicilia, per il Popolo della Libertà.

Nel corso della prima seduta della XVI Legislatura, il 29 aprile 2008 è stato eletto Presidente del Senato della Repubblica al primo scrutinio, riportando 178 voti, (162 richiesti dal quorum), 4 in più della coalizione formata da PdL, Lega Nord e MpA[12].

Grazie Paolo !



19 luglio 1992, sedici anni fa.


Grazie Paolo ! Per quello che hai fatto, per quello che sei stato, per quello che sei e sarai sempre !

Grazie Agostino (Catalano), Emanuela (Loi), Vincenzo (Li Muli), Walter Eddie (Cusina) e Claudio (Traina).

Sarete sempre nei nostri cuori e sarete sempre il nostro motivo per andare avanti.

Per ricordare Paolo, vi riproponiamo una bella intervista a Manfredi, suo figlio, che abbiamo riportato a questo link.

E vi segnaliamo il video di un incontro di Paolo con gli studenti dell’Istituto professionale di Stato per il commercio “Remondini” di Bassano del Grappa il 26 gennaio 1989.

E’ un video lungo (dura 1.35), ma è molto bello, incisivo, didascalico. Paolo affronta tutti i temi fondamentali intorno al tema della legalità.

Con lui c’è il prof. Enzo Guidotto, Presidente dell’Osservatorio veneto sul fenomeno mafioso e Consulente della Commissione Parlamentare Antimafia.

Il video è a questo link. E’ possibile scegliere in che formato vederlo ed è possibile anche scaricarlo per vederlo quanto si può, un pezzettino alla volta, e conservarlo.

Lettera a Paolo


Scritto da Emiliano Morrone
Sabato 19 Luglio 2008 12:07
Ciao Paolo,

ti scrivo comodamente seduto, al mio tavolo di lavoro. Da un po’, in Italia, finite le stragi, avvengono fatti che non c’entrano con la democrazia, e che anzi la mortificano nei princìpi.

Il giudice de Magistris, tuo collega, ha perduto le inchieste "Poseidone", sui depuratori calabresi, e "Why not", su un presunto, si dice così, comitato d’affari con centro a San Marino, Repubblica dentro la nostra Repubblica.

Su un giornale calabrese, stamani leggo che la Procura di Salerno sta indagando per gravi reati su Mariano Lombardi, ex procuratore capo a Catanzaro, Salvatore Murone, procuratore aggiunto, e Adalgisa Rinardo, presidente del Riesame nella medesima città.

L’ipotesi dei titolari dell’inchiesta è che questi abbiano remato contro de Magistris; che adesso, per una questione tecnica, il ritardo nella presentazione del ricorso in Cassazione contro il provvedimento di trasferimento e perdita delle funzioni adottato dal Csm, non potrà più rappresentare l’accusa in procedimenti penali. Non potrà investigare, non sarà più un pubblico ministero. E dovrà sloggiare da Catanzaro, comune di cui il cattolico Oscar Luigi Scalfaro è originario.

In "Why not", sono coinvolti politici, imprenditori e alti funzionari dello Stato. Quello Stato che t’ha voluto cancellare, impedendoti di completare il lavoro che con Giovanni Falcone e i collaboratori avevi iniziato in nome della giustizia e della verità. Della Costituzione. Cui giurasti fedeltà, senza smentirti, come Rocco Chinnici, Falcone, Ninni Cassarà, Rosario Livatino, Nino Scopelliti e tanti altri.

Ai tuoi tempi, la loggia massonica P2 aveva un ambizioso progetto di riforma. Anche di recente lo ha confermato il suo rettore, il venerabile Licio Gelli, che non è manco ai domiciliari e il cui archivio ha assunto piena dignità pubblica a Pistoia; a cura di Linda Giuva, moglie di Massimo D’Alema.

Finanziato dagli americani e sponsorizzato dai fratelli oltreoceano, il Gran Maestro - che ha una doppia visione di Michele Sindona, di cui dice che "lo hanno suicidato", e che di Roberto Calvi parla con un certo riserbo, come il presidente emerito Francesco Cossiga -, scelto per sconfiggere il blocco comunista, voleva delegittimare la magistratura e, per questa via, stabilire un nuovo ordine.

Che al suo posto ci stia riuscendo qualcuno, magari più spiritoso, è tutto da dimostrare. Così, va provato che al ministero della Giustizia un buonuomo, prima dell’odierno Angelo di Sicilia, abbia voluto realizzare una pax circondandosi di fidati dirigenti provenienti da ambo i lati. Malgrado un dossier dei Radicali con la lista dei nomi, di cui riferisce in un recente libraccio scurrile quel furbo di Carlo Vulpio, querelato dal sindaco di Matera Nicola Buccico (indagato da de Magistris), in odor di edilizia. Perquisito, Vulpio, assieme ad altri giornalisti associati, si suppone, per diffamare in libertà.

L’avocazione delle indagini di "Why not", firmata dal procuretore reggente di Catanzaro Dolcino Favi, non era giuridicamente giustificata, Paolo, secondo il tuo pupillo Antonino Ingroia. E a parere di molti esperti di diritto.

Favi, avvocato della Procura generale di Catanzaro, fu votato per l’incarico su proposta di Buccico, nel 2004. All’epoca, non il cavallo, Buccico, poi anche nella commissione parlamentare Antimafia, era membro del Csm.

Mammamia, Paolo, non ci capisco più, in tutto questo giro di nomi, posizioni, atti.

Pantaleone Mancuso, arrestato nell’ambito dell’inchiesta su affari illeciti a Vibo Valentia, difeso dall’avvocato Giancarlo Pittelli (parlamentare del Pdl in commissione Giustizia), è stato scarcerato.

Pittelli, dal canto suo, era tra gli indagati in "Poseidone", da poco archiviato il relativo procedimento dal gip di Catanzaro Teresa Macrì, che ha disposto uguale per il segretario nazionale dell’Udc Lorenzo Cesa, il generale della Guardia di Finanza Walter Cretella, il deputato del Pdl Pino Galati, l’ex presidente della Giunta regionale della Calabria Giuseppe Chiaravalloti, l’ex segretario particolare del ministro degli Esteri Fabio Schettini.

Pierpaolo Bruni - il giovane pm che ha portato a condanna il potente Vrenna di Crotone, presidente della squadra calcistica e patron dello smaltimento della monnezza nella zona, nonché l’ex assessore regionale (della Calabria) alla Forestazione Dionisio Gallo - vuole lasciare "Why not", di cui ha una parte.

Come sai, Paolo, l’inchiesta, sottratta a de Magistris, è stata divisa e assegnata a più magistrati. In una lettera al nuovo procuratore generale di Catanzaro, Bruni ha lamentato i ritardi e la lentezza dell’attività del pool chiamato a proseguire il lavoro di de Magistris. Dice che il procuratore generale ha firmato un decreto di perquisizione riguardante il presidente della giunta regionale calabrese, Agazio Loiero, dopo un mese dalla sua richiesta.

Sembra che Bruni voglia portare avanti le indagini su Romano Prodi, nonostante che sulla stampa si legga della sua richiesta di trasferire gli atti a Salerno. Pare che l’utenza telefonica ritrovata, sotto la voce "Romano Prodi", nella rubrica di Tonino Saladino, personaggio chiave dell’inchiesta e punta della Compagnia delle Opere in Calabria, sia stata usata dal figlio di Prodi, che avrebbe degli interessi sul Porto di Gioia Tauro. Pare. Pare. Pare. Pare.

Insomma, a rimetterci è stato Luigi de Magistris, che dopo aver indagato su roba grossa, non è più un pm. Bruni sta per uscire da "Why not". Domani, a Palermo, ci sarà anche de Magistris, a ricordarti. Io non posso esserci. Le mie economie non mi permettono di viaggiare, il 20 luglio devo stare a Palagianello (Ta) per un convegno sulla tua eredità. So che Roberto Maroni, ministro degli Interni, parteciperà alla manifestazione di Palermo.

Mi piacerebbe molto che qualche riflessione, qualche domanda e qualche risposta venisse fuori da Palermo.

Caro Paolo, tu sei sempre vivo. Più di prima.

Ti abbraccio. Ciao.

Roma, 18 luglio 2008


Tuo emiliano

domenica 13 luglio 2008

Se volessero veramente fare funzionare la giustizia, funzionerebbe

Dopo l’approvazione (sia pure al momento solo alla Camera) della legge che assicura l’impunità al Presidente del Consiglio, il Governo cambia la legge “blocca-processi”.

Le modifiche apportate costituiscono l’ennesima confessione che il Governo e chi – giornalisti, deputati, opinion makers – gli faceva da spalla mentiva quando sosteneva che la “blocca-processi” serviva a qualcos’altro che non fosse bloccare il processo di Silvio Berlusconi.

Si bloccavano centomila processi solo per fermarne uno.

Ora che quello è stato fermato in altro modo, la “blocca-processi” viene resa più logica.

Dunque, la pena edittale dei processi da bloccare non è più quella (assurda) di dieci anni, che serviva al Presidente del Consiglio, ma quella che consente di “fare dopo” i processi per reati già coperti dall’indulto.

Abbiamo già esposto le ragioni per le quali è evidente che il Governo ha mentito agli italiani, nel post “Dunque, il Governo ha mentito … e di brutto”.

Pubblichiamo qui di seguito un comunicato del “Movimento per la Giustizia – Articolo 3”, che è una corrente dell’Associazione Nazionale Magistrati.

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MOVIMENTO PER LA GIUSTIZIA – ARTICOLO 3


Le modifiche annunciate ieri all’emendamento che tutti denominano “blocca processi” dimostrano che le critiche della magistratura associata e del CSM, oggetto di accuse di arbitrio ed invasione di campo, erano fondate.

Di più: dimostrano che la magistratura associata è costretta ad esercitare il proprio diritto di critica e proposta proprio per salvaguardare l’interesse dei cittadini ad una giustizia che abbia ancora qualche speranza di funzionare.

Infatti gli interessi dei cittadini e quelli dei magistrati convergono in questo: che la giustizia possa funzionare con efficacia e secondo regole serie e ragionevoli.

Per i cittadini serve a garantire una corretta convivenza sociale, per i magistrati serve a conservare l’indipendenza voluta dalla Costituzione.

Devono però essere molto chiare due cose:

- la straordinaria efficienza che il Parlamento sta mostrando, nell’approvare in pochi giorni ed ore norme in materia di giustizia che interessano, dimostra che se vi fosse la reale volontà di intervenire per rendere efficace la giurisdizione questo potrebbe essere fatto in tempi brevi; se non lo si fa, è ipocrita indicare ai cittadini la magistratura come responsabile dell’insopportabile mal funzionamento della giurisdizione.

- noi magistrati vogliamo che ci sia la possibilità di fare, in tempi ragionevoli e bene, TUTTI i processi, ricorrere a sospensioni e rinvii è comunque strada perdente e sbagliata; per questo continuiamo a chiedere, inascoltati, semplificazione e razionalizzazione dei riti processuali, modifica della geografia degli uffici giudiziari, attribuzione di risorse indispensabili;

Rimane, sempre, il dubbio se davvero la politica dei partiti ha interesse al funzionamento efficace della giurisdizione.

Confidiamo che i fatti possano dimostrare l’infondatezza del dubbio.

Venezia-Roma, 12.7.08

Carlo Citterio
Segretario Generale del Movimento per la Giustizia