E’ in edicola dal alcuni giorni un libro che consideriamo importante.
Si intitola “Il ritorno del Principe”, è edito da Chiarelettere ed è stato scritto da Roberto Scarpinato con Saverio Lodato.
Roberto Scarpinato è Procuratore Aggiunto della Repubblica a Palermo ed è una delle memorie storiche dell’antimafia palermitana.
A questo link una sua breve scheda biografica.
Il libro ci sembra importante, perché illustra in maniera documentata e convincente come il problema italiano non sia questo o quel Presidente del Consiglio, la “destra” o la “sinistra” (che costituiscono espedienti di “copertura”), ma un male sistemico che ha radici culturali e morali molto profonde e molto risalenti nel tempo.
L’analisi di Roberto è preziosa perché illumina scenari di cui la maggior parte di noi ignora puramente e semplicemente l’esistenza.
Ci permettiamo di consigliarvi la lettura di questo libro non per fargli “pubblicità”, ma perché esso può aiutarci a guardare le cose da un altro e più alto punto di vista, comprendendo che le misere e a volte miserabili beghe nelle quali ogni giorno ci impantanano i giornali al servizio del potere non sono il cuore del problema e servono solo a tenerci distratti.
Per chi non ha altra preoccupazione che collocare a “destra” o a “sinistra” ogni cosa della vita, ribadendo che a nostro parere questa distinzione è pretestuosa e inutile, assicuriamo che il libro di Roberto non è né di destra né di sinistra, perché si occupa di altro.
Per comprendere il taglio dell’analisi di Roberto Scarpinato e la sua profondità, suggeriamo di ascoltare il suo intervento alla presentazione di un libro di Marco Travaglio, a Roma, il 10 gennaio di quest’anno. Per farlo, bisogna andare a questo link e lì cliccare sul triangolino a sinistra del nome di Roberto Scarpinato. E’ un intervento di 41 minuti, ma vale davvero la pena di investirli ad ascoltarlo. In esso, fra l’altro, Roberto spiega come ci sia una insuperabile incompatibilità strutturale fra la classe dirigente italiana e una magistratura indipendente.
C’è in quell’intervento di Roberto la chiave di lettura incontrovertibile della guerra alla giustizia della quale va in scena in questi giorni l’ennesima battaglia.
Riportiamo qui sotto la “Premessa” al libro dell’autore.
A questo link l’indice del libro.
A questo link una rassegna stampa sul libro.
«Premessa
Ho trascorso gli ultimi vent’anni in un luogo che non ammette illusioni: nel bene e nel male qui la vita è nuda e si rivela per quella che è.
Per un po’ puoi provare a ignorarla, ma prima o poi ti costringe a guardarla in faccia.
Per tanti è come guardare il volto della Medusa: sei fortunato se il cuore non ti si impietrisce per sempre.
Per altri è perdere l’innocenza e assumere un altro sguardo su di sé e sul mondo.
Se, come diceva Pablo Neruda, «l’importante non è nascere ma rinascere», questo è un luogo nel quale hai buone probabilità di morire o di rinascere.
Qui pensare non è un lusso, ma una necessità per evitare che ciò che non hai compreso in tempo ti piombi addosso d’improvviso, come in un agguato, cogliendoti inerme.
Quando molti anni fa giunsi a Palermo, rimasi colpito nel constatare che Giovanni Falcone teneva acceso nella sua stanza il Televideo.
Talora, al comparire di una notizia apparentemente priva di qualsiasi connessione con il suo lavoro di giudice, si faceva pensoso. Era come se quell’evento – la quotazione in Borsa di una nuova società, la nomina di un ministro – andasse velocemente decodificato per comprenderne la cifra segreta e per calcolarne le possibili reazioni a catena nel quadro complessivo della realtà.
Capire come e dove il potere reale del Paese si stava spostando equivaleva a capire dov’era necessario a propria volta spostarsi per evitare di farsi prendere alle spalle o di mettere i piedi su un terreno minato.
Questa lezione nel tempo è entrata a far parte di me e mi ha segnato in modo particolare dopo l’assassinio di Falcone e di Paolo Borsellino.
A volte penso che il primo è morto perché per una volta la sua straordinaria intelligenza era stata scavalcata dal precipitare degli eventi.
Il secondo, messo sull’avviso dalla strage di Capaci, aveva avuto invece modo di prevedere con il pensiero quanto lo attendeva: aveva visto la morte avvicinarsi giorno dopo giorno come la vittima sacrificale di un Paese troppo vile e immaturo per sapere guardare dentro la propria realtà e proteggere così i suoi figli migliori, salvando se stesso.
Questo è un luogo serio: per motivi opposti vittime e carnefici sono infatti condannati a prendere la vita sul serio.
A tratti mi pare che questo Paese invece diventi sempre meno serio. Che invece di raccontarsi per quello che è veramente, continui a raccontarsi storie e favole mediocri, finendo per crederci e per smarrire così la propria identità.
«Noi siamo i nostri demoni» diceva Goethe. Penso che ciò valga non solo per gli individui, ma anche per i popoli.
In questo libro ho provato a descrivere i demoni del Paese.
Quelli che hanno insanguinato la sua lunga storia e quelli che predando le sue risorse lo stanno condannando a un lento declino.
Con loro ho avuto una lunga frequentazione.
A volte, quando taluno mi chiede che vita io faccia, sono solito rispondere che frequento assassini e complici di assassini.
In effetti il tempo trascorso a interrogarli nelle carceri, ad ascoltare le loro conversazioni intercettate, a riannodare i fili di tanti delitti, ha divorato tanta parte della mia vita.
All’inizio ero convinto di dovermi confrontare con una sorta di impero del male, con un mondo alieno da attraversare giusto il tempo necessario per poi ritornare nel mondo degli onesti, delle persone normali.
Poi lentamente la linea di confine ha preso a divenire sfumata, fino quasi a dissolversi.
Inseguendo le loro tracce, sempre più spesso mi accadeva di rendermi conto che il mondo degli assassini comunica attraverso mille porte girevoli con insospettabili salotti e con talune stanze ovattate del potere.
Ho dovuto prendere atto che non sempre avevano volti truci e stimmate popolari.
Anzi i peggiori tra loro avevano frequentato le nostre stesse scuole, potevi incontrarli nei migliori ambienti e talora potevi vederli in chiesa battendosi il petto accanto a quelli che avevano già condannato a morte.
Nel tempo ho compreso che quello degli assassini è spesso il fuori scena del mondo in cui tanti sepolcri imbiancati si mettono in scena.
Per tale motivo questo è un libro di storie «oscene» che nel loro intrecciarsi sui terreni della mafia, della corruzione e dello stragismo possono offrire una chiave per comprendere pagine importanti del passato e per decifrare il presente e il futuro ... o forse la mancanza di futuro del Paese.
Il declino dell’Italia, fino a qualche tempo fa esorcizzato come l’anatema di visionarie Cassandre, sembra infatti divenire ogni giorno di più un destino che attende solo di compiersi.
Mi è sembrato così che fosse venuto il tempo di condividere pubblicamente alcune riflessioni, maturate durante il «viaggio» nel mondo degli assassini, che mi inducono a ipotizzare una possibile concausa del declino in un’anomalia nazionale.
Mentre negli altri Paesi europei la criminalità non «fa storia», riguardando solo le fasce meno integrate e acculturate della società, in Italia la storia nazionale, quella con la S maiuscola, è inestricabilmente intrecciata con quella della criminalità di settori significativi della sua classe dirigente, tanto che in taluni tornanti essenziali non è dato comprendere l’evoluzione dell’una senza comprendere i nessi con la seconda.
Questa criminalità dei potenti si è declinata dall’Unità d’Italia a oggi su tre versanti: la corruzione sistemica, la mafia e lo stragismo per fini politici.
La questione criminale dunque in Italia è inscindibile da quelle dello Stato e della democrazia.
Nei periodi di trend economici positivi, i guasti prodotti dalla criminalità dei potenti vengono metabolizzati e riassorbiti.
Nei periodi, come quello attuale, segnati da un trend negativo, l’operare di tale criminalità comporta invece costi globali complessivi tanto onerosi da non essere sopportabili alla lunga dal Paese.
Nel primo capitolo vengono tracciate alcune coordinate generali della criminalità del potere italiana.
Nel secondo e nel terzo se ne illustrano le concrete dinamiche nei terreni della corruzione e della mafia.
Mi rendo conto che il paziente lettore, avvezzo da tempo a sentirsi raccontare storie rassicuranti a lieto fine di cui sono esclusivi protagonisti campioni assoluti del male ed eroi solitari, a volte potrà sentirsi raggelare il cuore di fronte a quella che in queste pagine si snoda invece come una terribile e inconclusa storia di famiglia che riguarda tutti.
Ma, come dicevo all’inizio, da troppo tempo ormai vivo in un luogo che non ammette, illusioni e non sono più bravo a raccontare favole.
Roberto Scarpinato»
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