giovedì 24 gennaio 2008

BISOGNA SALVARE IL PAPA DAGLI INTRIGHI DI RUINI


APPELLO DI TRAVAGLIO: BISOGNA SALVARE IL PAPA DAGLI INTRIGHI DI RUINI, CHE DOMENICA ALL’ANGELUS GLI HA FATTO TROVARE SOTTO IL BALCONE UNA COLLEZIONE DI SUPPORTER DAVVERO IMBARAZZANTE…



Marco Travaglio per “l’Unità”


Marco Travaglio


La grande adunata di piazza San Pietro dimostra un fatto ormai incontrovertibile: bisogna salvare papa Ratzinger dagli intrighi del cardinal Ruini, che gli ha fatto trovare sotto il balcone una collezione di supporter davvero imbarazzante. Eugenio Scalfari insinua che Ruini appartenga alla schiera degli atei devoti, cioè a quella bizzarra setta di miscredenti che se ne infischiano del Padreterno, ma in compenso sono molto affezionati alle sottane cardinalizie e pretesche.

Noi non arriviamo a tanto, ma se in questi anni il Cardinal Vicario avesse annunciato la resurrezione di Gesù - che poi è il fondamento della fede cristiana - con lo stesso vigore e la stessa verbosità con cui ha battuto cassa per l’8 per mille, ha predicato la castità ai gay, ha fatto campagna elettorale nel referendum sull’eterologa e s’è scagliato contro le coppie di fatto, probabilmente le chiese, i conventi e i seminari sarebbero un po’ più pieni, o meno vuoti.

Pare quasi che, dei dieci comandamenti, ne siano rimasti in vigore solo un paio: il VI (non fornicare) e il IX (non desiderare la donna d’altri). Altri, a cominciare dal VII (non rubare) e dall’VIII (non dire falsa testimonianza, cioè non mentire), sono stati depenalizzati, o sono caduti in prescrizione. Altrimenti alcuni noti bugiardi e profittatori del denaro pubblico che si spellavano le mani all’Angelus avrebbero avuto qualche problema a mostrarsi in pubblico, col rischio di sentir parlare di corda in casa dell’ impiccato.

E dire che, meno di un anno fa, papa Ratzinger lanciò un anatema capace di incenerire, se solo qualcuno l’avesse ripreso col dovuto rilievo, mezzo Parlamento: «Può stare nel luogo santo chi ha mani innocenti e cuore puro: mani innocenti sono mani che non vengono usate per atti di violenza, sono mani che non sono sporcate con la corruzione e con tangenti. È puro un cuore che non si macchia con menzogna e ipocrisia, un cuore che rimane trasparente come acqua sorgiva perché non conosce doppiezza» (1 aprile 2007). Roba che, a ripeterla domenica, avrebbe trasformato in statue di sale un bel po’ di politici plaudenti.


Totò Cuffaro, indaffarato fra veglie di preghiera e distribuzione di cannoli ex voto, e vilmente aggredito da maestri di morale come Miccichè e Dell’Utri, non c’era: a Palermo, di questi tempi, non puoi distrarti un attimo. Ma lo sostituivano degnamente il senatore a vita Giulio Andreotti, che dell’VIII comandamento è un esperto mondiale (mentì al tribunale di Palermo una trentina di volte); e il presidente Udc Piercasinando, accompagnato dalle sue numerose famiglie e reduce da un’indimenticabile vacanza a Cortina (dov’è stato multato sulle piste innevate perché sciava con lo skipass della figlioletta Benedetta per risparmiare qualche euro, a riprova delle ristrettezze in cui versano le famiglie italiane col governo di centrosinistra).

C’era anche Clemente Mastella, che com’è noto è molto religioso: infatti nel 2000 presenziò come testimone dello sposo (l’altro era Vasa Vasa) alle nozze di Francesco Campanella, il mafioso di Villabate che si divideva tra la cosca e la carica di segretario nazionale dei giovani dell’Udeur. Non risulta che la cosa abbia mai suscitato le ire della Santa Sede, forse perché quel matrimonio avvenne tra un uomo e una donna davanti all’altare, secondo i dettami di Santa Romana Chiesa, e poco importa se l’uomo era un mafioso.


Mastella dunque, insciarpato in una stola color porpora sfilata a chissà quale cardinale, applaudiva le parole del Santo Padre («una grande lezione di laicità») e intanto lacrimava per l’assenza della sua signora Sandra, momentaneamente trattenuta agli arresti domiciliari. L’ex ministro di Indulto e Giustizia, dall’alto dei suoi sette capi d’imputazione, era giunto sul posto accompagnato da un giornalista del Corriere della sera, e per tutti il percorso aveva intonato salmi e cantici spirituali di Fred Bongusto, ascoltando Radio Kiss Kiss (che per lui è meglio di Radio Maria), recitando orazioni del tipo: «Quello stronzo delle Iene… quel farabutto del procuratore» e ricevendo telefonate di galantuomini del calibro di Corrado Ferlaino.

Tutt’intorno, maestri della fede come Fabrizio Cicchitto, che per motivi di opportunità aveva lasciato a casa il cappuccio nero della P2; il giornalista-dandy Carlo Rossella, già comunista cossuttiano; e Mario Borghezio, in rappresentanza del sincretismo celtico-cristiano, purtroppo sprovvisto della fiaccola con cui è solito incendiare i giacigli degli extracomunitari. Oremus.

domenica 20 gennaio 2008

Palermo festeggia: la mafia non esiste



Venerdì 18 gennaio 2008 si è concluso il processo di primo grado a carico di Salvatore Cuffaro, presidente della Regione Sicilia, incriminato per favoreggiamento aggravato alla mafia e violazione di segreto d'ufficio. E la sentenza parla chiaro.

Oggi, di fronte alla parola del giudice, è tempo che la pubblica opinione chieda scusa a Cuffaro per tutte le sofferenze cui è stato sottoposto durante tutti questi mesi, per lo stillicidio di illazioni e accuse infamanti di cui è stato oggetto.

Giustizia, alla fine, è stata fatta, e senza nemmeno dover ricorrere al proverbiale giudice berlinese. La terza sezione penale del Tribunale di Palermo ha sancito che Cuffaro non è colpevole di favoreggiamento alla mafia, ma solo di violazione di segreto d'ufficio, e dovrà quindi scontare una pena detentiva di 5 anni e l'interdizione perpetua dai pubblici uffici. Come non essere partecipi della gioia di Cuffaro?

"Sono molto confortato da questa sentenza perché ho sempre saputo di non avere favorito la mafia e questa sentenza me ne dà atto".

Quale sollievo infine. Cuffaro non è mafioso. Ha soltanto ricevuto da un carabiniere delle informazioni riservatissime riguardanti un'inchiesta della Direzione Investigativa Antimafia, con le quali è venuto a sapere che un boss della mafia, Giuseppe Guttadauro, aveva delle microspie nella casa dove intratteneva galanti conversazioni ...

... con Domenico Miceli, dell'Udc, amico di Cuffaro, "padrone" della Sanità siciliana, ex-assessore alla sanità e mafioso. E poi è andato a dirlo a Miceli stesso, mandando in fumo così l'operazione della Direzione Investigativa Antimafia.

Ma per fortuna la sentenza gli "dà atto" di non aver aiutato la mafia. Certo, c'è sempre quella condanna per violazione di segreto d'ufficio, ma cosa volete che sia di questi tempi? Chi è che nel terzo millennio non ha almeno una condanna per aver ostruito una indagine contro una delle più potenti associazioni criminali del pianeta? Chi non conosce un carabiniere dentro la procura antimafia che spiffera tutto? E voi, che già storcete il naso con moralistica alterigia, riflettete un attimo: se aveste un amico che frequenta la casa di un boss della mafia e per caso veniste a sapere che quella casa è sotto controllo dell'Antimafia, non fareste anche voi la cosa più naturale del mondo, cioè dire al vostro amico mafioso che lo stanno intercettando? E vi sentireste voi responasbili di aver favorito la mafia? Ma certo che no! Solo dei bigotti moralisti e giustizialisti potrebbero arrivare a pensare questo.

Come per esempio il terribile procuratore nazionale antimafia, Piero Grasso, che non ha mancato di farci conoscere la sua solita e noiosa opinione:

"E' rimasto provato il favoreggiamento da parte del presidente della Regione, Salvatore Cuffaro, di singoli mafiosi come Guttadauro, Aragona, Greco, Aiello e Miceli, ma tutto ciò non è stato ritenuto sufficiente a integrare l'aggravante contestata di avere agevolato l'associazione mafiosa Cosa Nostra nel suo complesso".

Ma le parole dei soliti grilliparlanti, dei soliti "professionisti dell'antimafia" non devono distoglierci dal senso di giustizia e di sollievo che pervade i nostri cuori. E l'on. Cuffaro ci da l'esempio. Di fronte alla interdizione perpetua dai pubblici uffici, decretata da quello stesso Tribunale che "gli da atto" di non essere un mafioso, afferma:

"Resto presidente della Regione. Da domani torno al lavoro."

Quale dedizione, quale attaccamento all'alto compito cui è stato destinato! Uniamoci quindi al coro degli amici di lunga data, come il leader dell'Udc Pier Ferdinando Casini (già Presidente della Camera):

"Da sempre sappiamo che Cuffaro non è colluso con la mafia. Da oggi lo ha certificato anche un tribunale della Repubblica."

Dispiace un po' per l'amico di Cuffaro, Aiello, che – nello stesso processo e per i medesimi fatti – è stato condannato a 14 anni di reclusione per associazione mafiosa, rivelazione e utilizzazione di segreto d'ufficio, truffa, accesso abusivo al sistema informatico della Procura e corruzione. Dispiace per il maresciallo del Ros Giorgio Riolo, 7 anni di galera per associazione mafiosa, accesso abusivo al sistema informatico della Procura, rivelazione e utilizzazione di segreto d'ufficio, corruzione e interferenze illecite nella vita privata altrui.

Ma d'altronde si sa, non tutti posso avere la certificazione garantita che non sono mafiosi. E poi, insomma, dovremmo essere contenti: tutti a dire che in Italia comanda la mafia ma poi mai nessuno di quelli che comandano viene condannato per mafia. E allora vuol dire che la mafia non comanda. Ogni tanto qualche "mafioso singolo" riceve aiuto da qualche "politico singolo", ogni tanto qualche "singolo politico" si fa aiutare da qualche "singolo mafioso", ma questo non è favoreggiamento della mafia. Ne da atto il Tribunale, e chi siamo per noi per pensarla diversamente?

Giorgio Mattiuzzo (Pausania)

mercoledì 9 gennaio 2008

LA TRAGEDIA E' CHE NAPOLI SI STA RASSEGNANDO ALL'AVVELENAMENTO



LA TRAGEDIA E' CHE NAPOLI SI STA RASSEGNANDO ALL'AVVELENAMENTO
di: Roberto Saviano


J'accuse dell'autore di Gomorra: la tragedia è che Napoli si sta rassegnando all'avvelenamento
Imprese, politici e camorra ecco i colpevoli della peste
Gli ultimi dati dell'Oms parlano di un aumento vertiginoso, oltre la media nazionale, dei casi di tumore a pancreas e polmoni.
Roberto Saviano è l'autore di Gomorra, il best-seller che racconta un viaggio nell'impero economico e nel sogno di dominio della camorra

È un territorio che non esce dalla notte. E che non troverà soluzione. Quello che sta accadendo è grave, perché divengono straordinari i diritti più semplici: avere una strada accessibile, respirare aria non marcia, vivere con speranze di vita nella media di un paese europeo. Vivere senza dovere avere l'ossessione di emigrare o di arruolarsi.

E' una notte cupa quella che cala su queste terre, perché morire divorati dal cancro diviene qualcosa che somiglia ad un destino condiviso e inevitabile come il nascere e il morire, perché chi amministra continua a parlare di cultura e democrazia elettorale, comete più vane delle discussioni bizantine e chi è all'opposizione sembra divorato dal terrore di non partecipare agli affari piuttosto che interessato a modificarne i meccanismi.

Si muore di una peste silenziosa che ti nasce in corpo dove vivi e ti porta a finire nei reparti oncologici di mezza Italia. Gli ultimi dati pubblicati dall'Organizzazione Mondiale della Sanità mostrano che la situazione campana è incredibile, parlano di un aumento vertiginoso delle patologie di cancro. Pancreas, polmoni, dotti biliari più del 12% rispetto alla media nazionale. La rivista medica The Lancet Oncology già nel settembre 2004 parlava di un aumento del 24% dei tumori al fegato nei territori delle discariche e le donne sono le più colpite. Val la pena ricordare che il dato nelle zone più a rischio del nord Italia è un aumento del 14%.

Ma forse queste vicende avvengono in un altro paese. Perché chi governa e chi è all'opposizione, chi racconta e chi discute, vive in un altro paese. Perché se vivessero nello stesso paese sarebbe impensabile accorgersi di tutto questo solo quando le strade sono colme di rifiuti. Forse accadeva in un altro paese che il presidente della Commissione Affari Generali della Regione Campania fosse proprietario di un'impresa - l'Ecocampania - che raccoglieva rifiuti in ogni angolo della regione e oltre, e non avesse il certificato antimafia.

Eppure non avviene in un altro paese che i rifiuti sono un enorme business. Ci guadagnano tutti: è una risorsa per le imprese, per la politica, per i clan, una risorsa pagata maciullando i corpi e avvelenando le terre. Guadagnano le imprese di raccolta: oggi le imprese di raccolta rifiuti campane sono tra le migliori in Italia e addirittura capaci di entrare in relazione con i più importanti gruppi di raccolta rifiuti del mondo. Le imprese di rifiuti napoletane infatti sono le uniche italiane a far parte della EMAS, francese, un Sistema di Gestione Ambientale, con lo scopo di prevenire e ridurre gli impatti ambientali legati alle attività che si esercitano sul territorio.

Se si va in Liguria o in Piemonte numerosissime attività che vengono gestite da società campane operano secondo tutti i criteri normativi e nel miglior modo possibile. A nord si pulisce, si raccoglie, si è in equilibrio con l'ambiente, a sud si sotterra, si lercia, si brucia. Guadagna la politica perché come dimostra l'inchiesta dei Pm Milita e Cantone, dell'antimafia di Napoli sui fratelli Orsi (imprenditori passati dal centrodestra al centrosinistra) in questo momento il meccanismo criminogeno attraverso cui si fondono tre poteri: politico imprenditoriale e camorristico - è il sistema dei consorzi.

Il Consorzio privato-pubblico rappresenta il sistema ideale per aggirare tutti i meccanismi di controllo. Nella pratica è servito a creare situazioni di monopolio sulla scelta di imprenditori spesso erano vicino alla camorra. Gli imprenditori hanno ritenuto che la società pubblica avesse diritto a fare la raccolta rifiuti in tutti i comuni della realtà consorziale, di diritto. Questo ha avuto come effetto pratico di avere situazioni di monopolio e di guadagno enorme che in passato non esistevano. Nel caso dell'inchiesta di Milite e Cantone accadde che il Consorzio acquistò per una cifra enorme e gonfiata (circa nove milioni di euro) attraverso fatturazioni false la società di raccolta ECO4. I privati tennero per se gli utili e scaricarono sul Consorzio le perdite. La politica ha tratto dal sistema dei consorzi 13.000 voti e 9 milioni di euro all'anno, mentre il fatturato dei clan è stato di 6 miliardi di euro in due anni.

Ma guadagnano cifre immense anche i proprietari delle discariche come dimostra il caso di Cipriano Chianese, un avvocato imprenditore di un paesino, Parete, il suo feudo. Aveva gestito per anni la Setri, società specializzata nel trasporto di rifiuti speciali dall'estero: da ogni parte d'Europa trasferiva rifiuti a Giugliano-Villaricca, trasporti irregolari senza aver mai avuto l'autorizzazione dalla Regione. Aveva però l'unica autorizzazione necessaria, quella della camorra.

Accusato dai pm antimafia Raffaele Marino, Alessandro Milita e Giuseppe Narducci di concorso esterno in associazione camorristica ed estorsione aggravata e continuata, è l'unico destinatario della misura cautelare firmata dal gip di Napoli. Al centro dell'inchiesta la gestione delle cave X e Z, discariche abusive di località Scafarea, a Giugliano, di proprietà della Resit ed acquisite dal Commissariato di governo durante l'emergenza rifiuti del 2003. Chianese - secondo le accuse - è uno di quegli imprenditori in grado di sfruttare l'emergenza e quindi riuscì con l'attività di smaltimento della sua Resit a fatturare al Commissariato straordinario un importo di oltre 35 milioni di euro, per il solo periodo compreso tra il 2001 e il 2003.

Gli impianti utilizzati da Chianese avrebbero dovuto essere chiusi e bonificati. Invece sono divenute miniere in tempo di emergenza. Grazie all'amicizia con alcuni esponenti del clan dei Casalesi, hanno raccontato i collaboratori di giustizia, Chianese aveva acquistato a prezzi stracciati terreni e fabbricati di valore, aveva ottenuto l'appoggio elettorale nelle politiche del 1994 (candidato nelle liste di Forza Italia, non fu eletto) e il nulla osta allo smaltimento dei rifiuti sul territorio del clan.

La Procura ha posto sotto sequestro preventivo i beni riconducibili all'avvocato-imprenditore di Parete: complessi turistici e discoteche a Formia e Gaeta oltre che di numerosi appartamenti tra Napoli e Caserta. L'emergenza di allora, la città colma di rifiuti, i cassonetti traboccanti, le proteste, i politici sotto elezione hanno trovato nella Resit con sede in località Tre Ponti, al confine tra Parete e Giugliano, la loro soluzione.

Sullo smaltimento dei rifiuti in Campania ci guadagnano le imprese del nord-est. Come ha dimostrato l'operazione Houdini del 2004, il costo di mercato per smaltire correttamente i rifiuti tossici imponeva prezzi che andavano dai 21 centesimi a 62 centesimi al chilo. I clan fornivano lo stesso servizio a 9 o 10 centesimi al chilo. I clan di camorra sono riusciti a garantire che 800 tonnellate di terre contaminate da idrocarburi, proprietà di un'azienda chimica, fossero trattate al prezzo di 25 centesimi al chilo, trasporto compreso. Un risparmio dell'80% sui prezzi ordinari.

Se i rifiuti illegali gestiti dai clan fossero accorpati diverrebbero una montagna di 14.600 metri con una base di tre ettari, sarebbe la più grande montagna esistente ma sulla terra. Persino alla Moby Prince, il traghetto che prese fuoco e che nessuno voleva smaltire, i clan non hanno detto di no.

Secondo Legambiente è stata smaltita nelle discariche del casertano, sezionata e lasciata marcire in campagne e discariche. In questo paese bisognerebbe far conoscere Biùtiful cauntri (scritto alla napoletana) un documentario di Esmeralda Calabria, Andrea D'Ambrosio e Peppe Ruggiero: vedere il veleno che da ogni angolo d'Italia è stato intombati a sud massacrando pecore e bufale e facendo uscire puzza di acido dal cuore delle pesche e delle mele annurche. Ma forse è in un altro paese che si conoscono i volti di chi ha avvelenato questa terra.

E' in un altro paese che i nomi dei responsabili si conoscono eppure ciò non basta a renderli colpevoli. E' in un altro paese che la maggiore forza economica è il crimine organizzato eppure l'ossessione dell'informazione resta la politica che riempie il dibattito quotidiano di intenzioni polemiche, mentre i clan che distruggono e costruiscono il paese lo fanno senza che ci sia un reale contrasto da parte dell'informazione, troppo episodica, troppo distratta sui meccanismi.

Non è affatto la camorra ad aver innescato quest'emergenza. La camorra non ha piacere in creare emergenze, la camorra non ne ha bisogno, i suoi interessi e guadagni sui rifiuti come su tutto il resto li fa sempre, li fa comunque, col sole e con la pioggia, con l'emergenza e con l'apparente normalità, quando segue meglio i propri interessi e nessuno si interessa del suo territorio, quando il resto del paese gli affida i propri veleni per un costo imbattibile e crede di potersene lavare le mani e dormire sonni tranquilli.

Quando si getta qualcosa nell'immondizia, lì nel secchio sotto il lavandino in cucina, o si chiude il sacchetto nero bisogna pensare che non si trasformerà in concime, in compost, in materia fetosa che ingozzerà topi e gabbiani ma si trasformerà direttamente in azioni societarie, capitali, squadre di calcio, palazzi, flussi finanziari, imprese, voti. E dall'emergenza non si vuole e non si po' uscire perché è uno dei momenti in cui si guadagna di più.

L'emergenza non è mai creata direttamente dai clan, ma il problema è che la politica degli ultimi anni non è riuscita a chiudere il ciclo dei rifiuti. Le discariche si esauriscono. Si è finto di non capire che fino a quando sarebbe finito tutto in discarica non si poteva non arrivare ad una situazione di saturazione. In discarica dovrebbe andare pochissimo, invece quando tutto viene smaltito lì, la discarica si intasa.

Ciò che rende tragico tutto questo è che non sono questi i giorni ad essere compromessi, non sono le strade che oggi solo colpite delle "sacchette" di spazzatura a subire danno. Sono le nuove generazioni ad essere danneggiate. Il futuro stesso è compromesso. Chi nasce neanche potrà più tentare di cambiare quello che chi li ha preceduti non è riuscito a fermare e a mutare. L'80 per cento delle malformazioni fetali in più rispetto alla media nazionale avvengono in queste terre martoriate.

Varrebbe la pena ricordare la lezione di Beowulf, l'eroe epico che strappa le braccia all'Orco che appestava la Danimarca: "il nemico più scaltro non è colui che ti porta via tutto, ma colui che lentamente ti abitua a non avere più nulla". Proprio così, abituarsi a non avere il diritto di vivere nella propria terra, di capire quello che sta accadendo, di decidere di se stessi.
Abituarsi a non avere più nulla.

Le ragioni dell'emergenza rifiuti


Alessandro Iacuelli
[8 Gennaio 2008]

Raccontare l’emergenza rifiuti campana, quella vera, non quella proposta dai mass media che in questi giorni hanno acceso i riflettori evidenziando una visione molto parziale del fenomeno, non è un’impresa difficile, poiché basta attenersi alla verità; una verità che è scomoda per l’Italia intera, trattandosi di un problema di tutto il Paese, e non di un pasticcio regionale. Si cerca di far passare il messaggio che si tratta di un problema limitato ad una regione, si cerca di sdoganare il concetto che la causa siano i cittadini che non vogliono gli impianti e le discariche vicino casa loro.
Nel fare questo si gioca sul fatto che il funzionamento del mondo dei rifiuti è più complesso di quanto il cittadino comune immagini. In realtà, la storia dell’emergenza rifiuti in Campania affonda le sue radici più indietro nel tempo e le sue cause profonde si annidano nei giorni tragici del terremoto irpino del 1980.

Quando le discariche c’erano e non erano di certo sature.
Di sicuro è sempre stato presente un deficit di impianti, ma questo deficit, soprattutto di impianti di recupero e di riciclaggio, è diffuso in tutto il Paese. La gestione dei rifiuti nella regione è sempre stata condotta in modo viziato dall’utopia del “tutto in discarica”, come se le discariche fossero infinite ed eterne. Spesso affidata ai comuni senza una gestione centralizzata, è andata avanti per decenni in modo scoordinato, dove spesso comuni limitrofi adottavano soluzioni diverse. In pratica, non c’è mai stato né un ciclo integrato di gestione dei rifiuti né un piano per la raccolta differenziata. E’ ovvio che un modo di agire del genere non dura in eterno: prima o poi le discariche usate dai comuni dovevano forzatamente esaurirsi.
A questa situazione di cattiva gestione dei rifiuti solidi urbani e dei rifiuti sia industriali sia ospedalieri si aggiunge anche la mancata bonifica territoriale dei siti che hanno visto anni e anni di sversamenti abusivi.
La Campania sotto il controllo dell’ecomafia è legata a doppio filo all’emergenza rifiuti. Anzi, alle emergenze rifiuti, perché sono tre, non una sola.
E’ dalla fine degli anni ’70 e, con un grande impulso a partire dalla metà degli anni ’80, che la Campania è crocevia e spesso meta finale del più grande traffico illecito di rifiuti tossico-nocivi del sud Europa. Traffico illecito che ha prodotto come risultato la presenza di migliaia di siti contaminati, dai semplici terreni con abbandono di rifiuti fino alle vere e proprie discariche abusive, situate spesso a breve distanza dai popolosi centri abitati della provincia napoletana.
La comprensione di tale fenomeno iniziò, per merito della magistratura, all’inizio degli anni ’90. In quel periodo fu scoperto che la criminalità campana controllava completamente sia i traffici illeciti sia le imprese di trasporto di rifiuti: imprese che, grazie alle privatizzazioni dei servizi di raccolta e smaltimento, avevano anche appalti per la raccolta dei rifiuti urbani presso molti comuni e, pertanto, anche l’accesso alle discariche autorizzate.

E’ proprio qui l’origine delle emergenze. La prima grande emergenza è di tipo ambientale e sanitario: le migliaia di siti contaminati non sono mai stati bonificati ed i veleni sono ancora tutti sparsi sul territorio.

La seconda grande emergenza è stata generata dallo sversamento di rifiuti speciali di provenienza extraregionale nelle discariche autorizzate, provocandone una rapida saturazione con molto anticipo rispetto ai tempi previsti.

La terza, infine, sta nel fatto che i traffici illeciti di rifiuti speciali non sono affatto terminati; hanno solo cambiato volto, affinando le tecniche di elusione del controllo pubblico. La somma di tutte queste componenti porta la Campania al suo stato di emergenza.

Che oramai emergenza non è più, trattandosi di un fatto cronico, addirittura acquisito culturalmente dagli abitanti e dagli amministratori.

La gestione dei rifiuti solidi urbani è stata per la prima volta regolata in Campania con una legge regionale del febbraio 1993, che si proponeva di raggiungere nel triennio 1993-1995 una riduzione fino al 50 per cento dell’uso delle discariche. Fu il primo piano regionale per la gestione dei rifiuti, in ordine cronologico. Non funzionò.
Le discariche presenti in Campania, quelle dove da sempre si conferivano i rifiuti, si stavano pericolosamente avviando alla saturazione. Dal fallimento di questo piano, è nata l’emergenza dei rifiuti urbani: si cercarono altre discariche per il materiale a valle della raccolta differenziata, c’era sempre l’utopia del poter mandare tutto in discarica, non si trovarono siti adatti, e nel giro di pochi anni si sarebbero saturate tutte le discariche campane. In casi del genere, come è ovvio, interviene il Governo nazionale.

Così, l’11 febbraio 1994, il Governo nazionale nominò, con un’ordinanza della Presidenza del Consiglio dei ministri, il prefetto di Napoli a commissario straordinario dell’emergenza nel settore dei rifiuti solidi urbani.
Lo stesso Governo nazionale ha proceduto, il 18 marzo 1996, ad un secondo commissariamento della regione Campania, nominando il presidente della Regione commissario di Governo per la predisposizione di un piano di interventi di emergenza. Tale commissariamento era complementare a quello affidato al prefetto di Napoli, e rivolto alla messa a punto di un piano d’emergenza che fosse risolutivo. Il presidente della Regione, all’epoca era Rastrelli: fece un’indagine conoscitiva presso tutti i consorzi di smaltimento dei rifiuti e presentò il piano d’emergenza. Tale piano fu presentato il 31 dicembre 1996. Undici anni fa.
Se ancora oggi la Campania è in emergenza, è perché questo piano nella pratica quotidiana è fallito. Fallito per il mancato raggiungimento degli obiettivi previsti in termini di raccolta differenziata, fallito perché molti degli impianti previsti non sono stati realizzati, spesso neanche localizzati: il piano dice che devono essere fatti, ma non dice né dove né entro quanto tempo. Fallito perché, nelle intenzioni di Rastrelli, troppo era assegnato a certi privati, sempre gli stessi, in piena fase ideologica che tende ad eliminare tutto ciò che in qualche modo è pubblico.
Troppa indeterminatezza, troppe cose lasciate “campate in aria”, e non specificate. Tutto ciò ha influito negativamente sul piano di smaltimento, senza fornire le risposte concrete che ci si attenderebbe da un ente pubblico in una materia tanto delicata. Un piano parziale, che non poteva certo portare a risultati definitivi. Caduta la giunta Rastrelli, i danni fatti erano oramai troppi per essere sanati in tempi brevi. L’unica soluzione sarebbe stata quella di rifare un nuovo piano rifiuti, sensato e funzionante. Ma chi è venuto dopo, nell’ordine prima Losco e poi Bassolino, ha preferito seguire la stessa strada, usare lo stesso piano. Tutto questo ha portato la Campania nel baratro nel quale si trova oggi. Per vedere un nuovo piano regionale per i rifiuti, si è dovuto attendere fino al dicembre 2007. E si tratta ancora di un piano parziale, che non risolve affatto tutto.

Tra il 1999 ed il 2000, tutte le discariche campane si sono esaurite. Da quel momento, i rifiuti sono stati portati, prima direttamente, poi tramite gli impianti di CDR, in siti si stoccaggio “provvisori”, spesso sotto controllo criminale ed affittati dai clan al commissariato. Quando non ci sono siti di stoccaggio a disposizione, si cerca di riaprire le vecchie discariche, provocando le rivolte degli abitanti, oppure i rifiuti restano per strada. Una struttura elefantiaca e succhia soldi, quel commissariato straordinario che oramai da oltre un decennio controlla l’affare dei rifiuti in Campania, riesce solo a tamponare momentaneamente lo sfacelo, inviando i rifiuti fuori regione quando può, oppure acquistando e affittando nuovi siti di stoccaggio, o ancora forzando la riapertura di siti oramai esauriti.

E la camorra sorride, visto che incrementa i propri affari d’oro mediante il controllo dei terreni e dei trasporti. Non sorride affatto il livello medio di salute della popolazione. Manca la certezza del futuro, giacché non è prevista, in tempi brevi, la realizzazione di alcun impianto di recupero e riciclaggio nella regione, mentre nuove discariche ed impianti di termodistruzione vengono duramente contestati dai cittadini dei comuni interessati dalla localizzazione nel loro territorio, spesso non a torto trattandosi in molti casi di aree non adatte a simili destinazioni, o di impianti che non sono affatto adeguati e inquinanti almeno quanto le discariche abusive.
Probabilmente, la perdita definitiva del controllo del territorio da parte dello Stato è iniziata proprio durante la ricostruzione post-terremoto del 1980. Si tratta di un quarto di secolo in cui una politica poco autorevole, e spesso remissiva nei confronti di interessi economici, oltre che autocelebrativa, ha di fatto delegato alle mafie ed alle lobby il vero controllo della Campania.
Dopo un quarto di secolo, quella politica – che non è solo regionale, visto che il commissariato straordinario risponde direttamente a Palazzo Chigi ed è una sua diretta emanazione – è ancora poco autorevole. Si arrocca sull’essere autoritaria, nel forzare i blocchi della popolazione davanti alle discariche esaurite. Ma da sempre, essere autoritari non è affatto indice di autorevolezza.