venerdì 2 maggio 2008

Chi è Renato Schifani? Per ME




quello del lodo Schifani, legge che sospese temporaneamente i processi in corso contro le più alte cariche dello Stato (utilizzata dallo stesso Berlusconi), dichiarata inconstituzionale.



quello che nel 1979 fondò la “Sicula Brokers“, con gente come Benny D’Agostino, Giuseppe Lombardo e Nino Mandalà.
quello che nel 1992 costituì una società di “recupero crediti” con Antonio Mengano e Antonino Garofalo.



quello che difese l’impresa Lo Sicco davanti al Tar, impresa che costruì un palazzo abusivo di undici piani in una delle zone più pregiate di Palermo. Oggi il palazzo costruito da Lo Sicco è confiscato dallo Stato ed il costruttore è stato condannato a 2 anni e otto mesi per truffa e corruzione a cui si sono aggiunti sette anni per mafia.



quello che in un articolo intitolato “Cavour e il conflitto di interessi” affermò che anche lo statista piemontese era “in potenziale conflitto di interessi” perché aveva un giornale, partecipazioni bancarie, proprietà terriere e un’intensa attività affaristica dimenticandosi di aggiungere che, divenuto ministro, Cavour “decise in primo luogo di liquidare gli affari nei quali era stato attivo fino ad allora”.



quello che attaccò in maniera assai poco elegante Maria Falcone e Rita Borsellino, accusandole di “avere offeso la memoria dei loro eroici fratelli”.




Il senatore di Forza Italia Renato Schifani, mesi fa: "Totò Cuffaro, nel caso in cui venisse condannato, non sarà obbligato a dimettersi. Nel 2000 il governo regionale di centro sinistra votò una legge dove erano elencati tutti i reati che provocano la decadenza del parlamentare. I presunti reati per i quali è accusato Cuffaro non sono menzionati. Forza Italia è un partito garantista. Poi, che senso avrebbe se Cuffaro venisse condannato in primo grado e poi assolto in appello? Andremmo inutilmente alle urne?"



L'individuo che sta parlando da capomafia non è un capomafia, ma un avvocato. Capogruppo dei senatori di Forza Italia. Costui è stato socio di affari (leciti) con presunti usurai e mafiosi. Giustificazione? La solita: non sapevo fossero mafiosi. Adesso non sarete più stupiti sulle dichiarazione riguardanti Cuffaro. Forza Italia non è un partito garantista. È un partito senza il minimo scrupolo, pronto a tentare di modificare il regime di carcere duro e la legge sulla confisca dei beni mafiosi (presentata proprio da Don Renato) per non perdere i voti della mafia, che, ormai appurato, fu artefice almeno della successo del 1994. Ma già che ci siamo, sarebbe un peccato non approfondire il discorso su Don Renato.
La fonte è l'Espresso, Agosto 2002
Nel 1992 Schifani con Antonio Mengano e Antonino Garofalo sono soci in una società: la Gms. Nel 1997 l'avvocato Antonino Garofalo è stato arrestato nel 1997 e poi rinviato a giudizio per usura ed estorsione.
Nel 1979 viene istituita la Sicula Brokers. Tra i soci fondatori, accanto a un'assicurazione del nord, c'erano Renato Schifani e il ministro degli Affari regionali Enrico La Loggia, nonché soggetti come Benny D'Agostino, Giuseppe Lombardo e Nino Mandalà. Nomi che a Palermo indicano quella zona grigia in cui impresa, politica e mafia si confondono. Benny D'agostino è un imprenditore condannato per concorso esterno in associazione mafiosa e, negli anni in cui era socio di Schifani e La Loggia, frequentava il gotha di Cosa Nostra. Lo ha ammesso lui stesso al processo Andreotti quando ha raccontato un viaggio memorabile sulla sua Ferrari da Napoli a Roma assieme a Michele Greco, il papa della mafia. Giuseppe Lombardo invece è stato amministratore delle società dei cugini Ignazio e Nino Salvo, i famosi esattori di Cosa Nostra arrestati da Falcone nel lontano 1984 e condannati in qualità di capimafia della famiglia di Salemi. Nino Mandalà, infine, è stato arrestato nel 1998 ed è attualmente sotto processo per mafia a Palermo. Questo ex socio di Schifani e La Loggia era il presidente del circolo di Forza Italia di Villabate, un paese vicino a Palermo e proprio di politica parlava nel 1998 con il suo amico Simone Castello, colonnello del boss Bernardo Provenzano mentre a sua insaputa i carabinieri lo intercettavano. Mandalà riferiva a Castello l'esito di un burrascoso incontro con il ministro Enrico La Loggia, allora capo dei senatori di Forza Italia. Mandalà era infuriato per non avere ricevuto una telefonata di solidarietà dopo l'arresto del figlio (poi scagionato per un omicidio di mafia). E così raccontava di avere chiuso il suo colloquio con La Loggia: «Siccome io sono mafioso ed è mafioso anche tuo padre che io me lo ricordo quando con lui andavo a cercargli i voti da Turiddu Malta che era il capomafia di Vallelunga. Lo posso sempre dire che tuo padre era mafioso. A quel punto lui si è messo a piangere». La Loggia ha ammesso l'incontro ma ne ha raccontato una versione ben diversa. E anche Mandalà al processo ha parlato di millanteria. Nella stessa conversazione intercettata Mandalà parlava di Schifani in questi termini: «Era esperto a 54 milioni all'anno, qua al comune di Villabate, che me lo ha mandato il senatore La Loggia».
Schifani è stato sentito dalla Procura e, senza falsa modestia ha spiegato con la sua bravura la consulenza e lo stipendio: «Il mio studio è uno dei più accreditati in campo urbanistico in Sicilia». Ma per La Loggia sotto sotto c'era una raccomandazione: «Parlai di Schifani con Gianfranco Micciché (coordinatore di Forza Italia in Sicilia) e dissi: sta sprecando un sacco di tempo e quindi avrà dei mancati guadagni facendo politica. Vivendo lui della professione di avvocato dico se fosse possibile fargli trovare una consulenza. È un modo per dirgli grazie. E allora parlammo con il sindaco Navetta». Il sindaco Navetta è il nipote di Mandalà e il suo comune è stato sciolto per mafia nel 1998.
Il capogruppo di Forza Italia è stato sfortunato anche nella scelta dei suoi assistiti. Proprio un suo ex cliente recentemente ne ha fatto il nome in tribunale. La scena è questa: Innocenzo Lo Sicco, un mafioso pentito, il 26 gennaio del 2000 entra in manette in aula a Palermo e viene interrogato sulla vicenda di un palazzo molto noto in città, quello di Piazza Leoni. Le sue parole fanno balenare pesanti sospetti: «L'avvocato Schifani ebbe a dire a me, suo cliente, che aveva fatto tantissimo ed era riuscito a salvare il palazzo di Piazza Leoni facendolo entrare in sanatoria durante il governo Berlusconi perché, così mi disse, fecero una sanatoria e lui era riuscito a farla pennellare sull'esigenza di quegli edifici. Era soddisfattissimo. Perché lo diceva a me? Ma perché io lo avevo messo a conoscenza di qual era la situazione, l'iter, le modalità del rilascio della concessione...».
La Procura dopo aver analizzato le parole del pentito non ha aperto alcun fascicolo per la genericità del racconto. Comunque la storia di questo palazzo, scoperta dal giornalista de "la Repubblica" Enrico Bellavia, è tutta da raccontare. Comincia alla fine degli anni Ottanta quando Pietro Lo Sicco, imprenditore finanziato dalla mafia e zio di Innocenzo, mette gli occhi su un terreno a due passi dal parco della Favorita, una delle zone più pregiate di Palermo. Lo Sicco vuole costruirci un palazzo di undici piani ma prima bisogna eliminare due casette basse che appartengono a due sorelle sarde, Savina e Maria Rosa Pilliu, che non vogliono svendere. Pietro Lo Sicco le minaccia e le sorelle si rivolgono alla polizia. Ma la mafia è più lesta della legge: Lo Sicco ottiene la concessione edilizia grazie a una mazzetta di 25 milioni di lire e comincia ad abbattere l'appartamento a fianco. Quando le sorelle vedono avvicinarsi il bulldozer cominciano ad arrivare nel loro negozio i fusti di cemento. Il messaggio è chiaro: finirete lì dentro. Lo Sicco smentisce di essere il mandante ma la Procura offre alle Pilliu il programma di protezione. Oggi le sorelle sono un simbolo dell'antimafia: vivono proprio nel palazzo costruito da Lo Sicco e confiscato dallo Stato. Il costruttore è stato condannato a 2 anni e otto mesi per truffa e corruzione a cui si sono aggiunti sette anni per mafia.
All'inaugurazione del nuovo negozio costruito grazie al fondo antiracket, il senatore Schifani non c'era. Era dall'altra parte in questa vicenda. Il suo studio ha difeso l'impresa Lo Sicco davanti al Tar. Il pentito Innocenzo Lo Sicco, ha raccontato che lui stesso accompagnava l'avvocato Schifani negli uffici per seguire la pratica. Certo all'epoca l'imprenditore non era stato inquisito e il senatore non poteva sapere con chi aveva a che fare anche se il genero di Lo Sicco era sparito nel 1991 per lupara bianca. In quegli stessi anni Schifani assisteva anche altri imprenditori che sono incappati nelle confische per mafia, come Domenico Federico, prestanome di Giovanni Bontate, fratello del vecchio capo della cupola Stefano. Un settore quello delle confische che il senatore non ha dimenticato in Parlamento. Quando ha presentato un progetto di legge (il numero 600) per modificare la legge sulle confische e sui sequestri.
Forse Forza Italia è un partito garantista, ma dei mafiosi e dei loro interessi.

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