venerdì 29 giugno 2007

"300"


Serse non credeva che un esercito di 300 uomini gli si potesse opporre, e diede ai Greci cinque giorni per ritirarsi. Nello stesso momento anche la sua flotta non riusciva ad avanzare, bloccata dalle veloci navi ateniesi al cui comando si trovava Temistocle.
È celebre un piccolo aneddoto: alcuni disertori dell'esercito persiano (per lo più Greci arruolati con la forza) avevano dichiarato che i persianierano così tanti da oscurare il sole con le loro frecce; gli spartani risposero Bene, allora combatteremo all'ombra. Questa frase venne attribuita da Erodoto a un soldato spartano di nome Deniece, del quale ricorda la spavalderia nel pronunciare tali parole.
Serse inviò le proprie truppe nel passo delle Termopili, ma ogni ondata fu respinta. Trascorsi i cinque giorni, Serse offrì a Leonida di nominarlo re di tutta la Grecia a condizione di essere subordinato al persiano. Al rifiuto di Leonida, il re persiano iniziò l'offensiva.
I persiani attaccavano la postazione greca a gruppi di 10.000 soldati per volta tentando assalti frontali con frecce e corte lance, ma non riuscivano a rompere le formazioni dei opliti greci, armati di lunghe lance. La prima ondata ad arrivare sui greci fu quella dei Medi comandata da Tigranes, che assaltarono con entusiasmo ma furono respinti con gravi perdite. La seconda ondata fu dei soldati provenienti da Susa equipaggiati con un grande scudo ma anche loro fallirono. Tentarono anche di aggirare il nemico dal lato della costa, ma molti caddero dalle scogliere.
I persiani avrebbero potuto tentare di colpire i Greci con giavellotti e frecce, ma la carica frontale sembrò la soluzione più rapida e, forse, l'unica che potesse essere adottata, in quanto i Greci avrebbero potuto avanzare per colmare la distanza con un eventuale schieramento di arcieri, tornando ad una situazione di lotta corpo a corpo.
Il giorno successivo Serse schierò in campo le sue truppe d'élite, i diecimila Immortali, comandati da Idarne, che non ebbero maggior fortuna. I Greci combattevano a turno, concedendosi un po' di riposo da quel massacro, si accasciavano a terra sudati e sporchi di sangue per poi rialzarsi e tornare a combattere.
Dopo il secondo giorno di combattimenti un greco dal nome Efialte disertò e tradì i Greci, informando Serse dell'esistenza di un nuovo percorso, diverso, per superare il passo delle Termopili. La strada era difesa dai focesi che erano stati distaccati su quel passo due giorni prima. Essi però non si aspettavano un attacco dei persiani per cui, quando furono attaccati dagli Immortali di Serse, offrirono una ben debole resistenza prima di fuggire consentendo ai persiani di avanzare incontrastati.
Leonida capì che ogni resistenza sarebbe stata inutile, e con i rimanenti 300 soldati affrontò i persiani ma inutilmente, perché furono accerchiati dai molti nemici appostati sulle alture.Quando i persiani chiesero di consegnare le armi, Leonida gridò che sarebbero dovuti venirle a prendere. Nonostante l'improbabile cifra fornita dagli storici greci, più di ventimila furono i morti tra i persiani, compresi due fratelli di Serse (Habrocomes e Hyperanthes), ma alla fine Leonida venne ucciso. Per quattro volte il suo corpo fu catturato dai persiani e per quattro volte gli Spartani lo recuperarono. Stremati, i Greci si rifugiarono sul colle che sovrastava le Termopili per proteggere il corpo del loro re caduto. Serse ordinò che fossero finiti con gli archi per non perdere altri uomini. Dopo un anno, l'esercito spartano si ritrova ad affrontare un esercito decimato dalla forza dei 300 Spartani rimasti uccisi di fronte le Termopili.
Erodoto ci tramanda inoltre che dei trecento Spartiati due sopravvissero al massacro delle Termopili. Uno dei due, Pantite, si suicidò per la vergogna e il disonore, mentre l'altro di nome Aristodemo tornò a Sparta. In patria però il sopravvissuto venne disprezzato e rinnegato da tutti, e fu anche accusato di codardia. Nonostante ciò Erodoto ci dice che Aristodemo riuscì a riscattarsi un anno dopo, morendo in battaglia a Platea, ma non gli venne riconosciuto alcun onore per il suo valore poiché la sua azione venne ritenuta non coraggio, bensì disperazione.

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